Raccontare le visite domiciliari in Tanzania.
Tre mesi fa riceviamo una chiamata. In un caldo pomeriggio estivo dall’altro capo del telefono arriva la voce di Valentina Collina, Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’età evolutiva, che due anni fa aveva svolto con noi il suo Servizio Civile Universale.
Con tanta emozione ed entusiasmo, Valentina ci racconta di aver preso una decisione importante: vuole trascorrere due settimane di agosto, le sue uniche ferie, in Tanzania, per tornare lì dove ha lasciato il cuore. A noi già questo appare da subito come un gesto di grande solidarietà e umanità ma non possiamo immaginare che le idee di Valentina vanno, in realtà, ben oltre. In Tanzania non vuole portare “solo” il suo aiuto ma anche un supporto economico per sostenere le nostre attività. Scopriamo, così, che ha già attivato una raccolta fondi, a partire dai suoi amici e familiari, per promuovere le visite domiciliari dei nostri bambini con disabilità di Mbeya e Dar es Salaam, in Tanzania. A lei, che già aveva raccontato sul nostro blog lo svolgersi delle visite domiciliari durante il periodo del Servizio Civile, lasciamo nuovamente spazio per questo articolo, un articolo che diventa reportage di un mondo che cerchiamo di farvi scoprire sempre di più, un giorno alla volta.
La Tanzania insegna il concetto di “cucire su misura” un intervento riabilitativo.
Gli incontri domiciliari che si svolgono nella regione di Mbeya si distinguono in:
– majumbani: incontri duranti i quali si effettua l’intervento riabilitativo specifico, mostrando e condividendo a voce esercizi o consigli attività con i genitori;
– home visit: incontri nei quali si va per la prima volta a conoscere l’ambiente domestico di bimbi che hanno da poco iniziato a frequentare i centri o sono giunti per una valutazione;
– special case: situazioni particolari o casi nei quali i genitori, dopo un periodo di frequentazione del centro di riabilitazione più vicino, hanno smesso di recarvisi senza una comunicazione.
Questa distinzione mi viene ricordata e specificata da Whiteson, terapista occupazionale che lavora dal 2019 nel progetto Simama CBR. Whiteson a ogni incontro è pieno di domande, curiosità e ricerca di confronto professionale con noi riabilitatori occidentali.
I suoi quesiti specifici, rispetto ai bimbi che siamo andati a trovare insieme, fanno scaturire in me tantissimi interrogativi, e tante riflessioni. In Tanzania, il riabilitatore abituato a lavorare nel contesto europeo, con a disposizione strumenti diagnostici, livelli di approfondimento, materiali e referenti specifici, si trova a fare un enorme e continuo esercizio di adattamento e revisione delle proprie conoscenze. Inizialmente può capitare anche di sentirsi in colpa o inappropriati per il solo pensare a “soluzioni europee” per raggiungere obiettivi terapeutici.
Gradualmente, però, ci si abitua a integrare le proprie competenze con il contesto socio-culturale ed economico delle famiglie dei villaggi, e a ragionare con mezzi che si possiedono; si impara a “fare quello che si può con quello che si ha”, come ben raccontava un collega fisioterapista dopo un anno di volontariato a Dar Es Salaam. In sintesi, con un processo continuo di rielaborazione emotiva e di riflessioni, a poco a poco si apprende davvero quel processo, fondamentale nell’area della riabilitazione, dell’imparare a “cucire su misura” (alle caratteristiche del bambino, della famiglia, di risorse e contesto) un intervento terapeutico, nel rispetto di tutte le variabili e dell’obiettivo.
Il saper essere delle Community rehabilitation workers.
Lo Staff di Simama CBR è composto da un pediatra, un terapista occupazionale, uno psicologo e un fisioterapista, a cui si affiancano sette CRW (Community rehabilitation worker, ndr).
La figura del CRW, non presente nelle èquipe riabilitative italiane/europee, racchiude in sé i principi del programma CBR (Community Based Rehabilitation, ndr) e assume una valenza fondamentale in un contesto socio-culturale come quello tanzaniano.
Le CRW sono per lo più persone locali, provenienti dai villaggi nei dintorni. Ricevono una formazione iniziale di circa sei mesi in centri o ospedali riabilitativi CBR di riferimento. Successivamente, la loro formazione teorica e pratica è continua, e avviene grazie a sessioni di insegnamento condotte dalle altre figure dell’equipe e/o mediante piani di formazione specifici, contingenti a progetti (ad es. epilessia, malnutrizione). La loro presenza è vivace e costante sia nei centri riabilitativi che nelle visite domiciliari. Sono soprattutto loro che mi attendono e mi guidano con tranquillità, sicurezza e gentilezza dalle strade principali (barabarani in swahili) ai sentieri dei villaggi, fino a giungere alle case dei bimbi. E quello che a me sembra un complesso labirinto, per loro risulta un percorso famigliare, spontaneo, facile.
Mentre cammino, osservo e mi meraviglio della loro capacità di orientarsi in assenza di nomi di vie e di numeri civici. Nel corso delle home visit, le seguo ammirando la capacità di coinvolgere le persone del villaggio nella ricerca della casa di Mama Francis, alla quale dedicheremo una prima visita. Imito tutto ciò che fanno, poiché mi rendo presto conto che io, in tale contesto, non so come muovermi, relazionarmi, pormi: posso solo impararlo da loro pole pole (pian piano, con gradualità). Al contrario, la loro relazione con genitori e bimbi, è tutto un fluire spontaneo e brioso, ricco di semplicità, ascolto e reciprocità.
Durante la mia breve permanenza a Mbeya, ho modo di assistere a quella che definirei una meravigliosa sintesi del ruolo delle CRW. Nella parte finale di una majumbani, si è verificato un momento davvero magico. Mentre la CRW Monica condivide e poi mostra alla mamma di Alfonsie come posizionare il bimbo nello standing, tra loro avviene la condivisione forse di un ricordo (intuisco), dal quale ha origine un coro, fatto di alternanza e sovrapposizioni armoniose delle loro voci. Al canto aggiungono vivaci gesti della mano destra o di entrambe. Seguo l’ondeggiare delle mani e i movimenti in alcuni casi direzionati verso l’alto, come a riprendere reciprocamente la battuta del canto, elevare il tono o mantenere il ritmo. Le osservo, sorpresa e commossa, mentre il piccolo Alfonsie, che è con me, si muove contentissimo del canto, ride fragorosamente e prova a unirsi al coro con dei vocalizzi. Lo scambio corale continua anche quando Alfonsie è posizionato nello standing; e quell’essere proteso nell’ascoltare e rispondere al canto di Monica gli permette di mantenere anche un assetto posturale più allineato e controllato.
Osservando l’agire delle CRW e ascoltando la circolarità dei loro scambi con la famiglia si respira un loro armonioso saper essere, uno spontaneo saper stare con i genitori, elemento fondamentale ai fini della sensibilizzazione, promozione e generalizzazione dell’intervento riabilitativo in ambiente familiare. Le CRW ascoltano e domandano, mostrano e osservano, sollecitano e promuovono. Mettono in circolo fiducia e sanno letteralmente unirsi in canto con le famiglie. Ai miei occhi rappresentano perciò un perfetto anello di congiunzione tra la professionalità e la metodologia riabilitativa dei fisioterapisti e TO, e le più semplici e quotidiane esigenze delle famiglie di quei villaggi, che loro conoscono bene.
Valentina Collina, settembre 2022
Ringraziamo Valentina per aver preso una decisione così coraggiosa e generosa, per aver messo il suo tempo ancora una volta al servizio degli altri, e non da ultimo per aver raccontato il suo viaggio e descritto il suo stato d’animo senza paure. Torneremo a parlarvi di lei e di tutti quei ragazzi e quelle ragazze che con il Servizio Civile Universale scelgono di dare un senso diverso alla propria vita ma non sanno che stanno dando un significato diverso anche alla vita di tante altre persone.
Grazie Valentina!