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Intervista a Vincenzo Giardina: le parole al servizio degli altri.

Intervista a Vincenzo Giardina: le parole al servizio degli altri.

18 Ottobre 2022

Giornalista professionista, ha lavorato in Russia e viaggiato in giro per il mondo, soprattutto in Africa. Coordina il notiziario internazionale dell’agenzia di stampa Dire e tra le sue collaborazioni ci sono Il Venerdì di Repubblica, Internazionale, l’Espresso, Oltremare e Nigrizia. Specializzato sull’Africa e sulla cooperazione allo sviluppo, nei suoi lavori riserva un’attenzione particolare ai temi dei diritti umani, dello sviluppo sostenibile e della lotta contro le disuguaglianze. In Tanzania ha viaggiato con il fotoreporter Marco Palombi e Comunità Solidali nel Mondo, realizzando un reportage consultabile qui.

Vincenzo, come hai conosciuto Comunità Solidali nel Mondo?

Dal 2016 coordino il notiziario internazionale dell’agenzia di stampa Dire e come agenzia di stampa ci è capitato di organizzare alcuni incontri pubblici spesso dedicati all’attualità o comunque a temi di rilievo legati a Paesi dell’Africa o ai Paesi emergenti in generale. Ricordo un appuntamento in particolare che si è tenuto nel mese di settembre del 2020: era un incontro dedicato alla Repubblica democratica del Congo, in occasione dell’anniversario della pubblicazione di un rapporto di riferimento per questioni di carattere umanitario nelle regioni dell’est. In quell’occasione incontrammo e conoscemmo Michelangelo Chiurchiù, il presidente di Comunità Solidali nel Mondo e ci capitò di parlare, di confrontarci. Da allora, appunto, Michelangelo ha condiviso diverse esperienze dell’associazione con noi e anche la rivista INUKA!, così abbiamo iniziato a conoscerci e ad approfondire le varie attività. 

Successivamente, l’interesse che già avevamo verso l’associazione si è amplificato in occasione del riconoscimento del lavoro di Comunità Solidali nel Mondo da parte dell’Accademia dei Lincei, con l’assegnazione del Premio Feltrinelli. Infine, la possibilità di vedere sul campo quello che l’associazione fa ogni giorno e i temi di cui si occupa ci ha consentito un racconto più corretto, più attento rispetto alla condivisione delle motivazioni alla base del riconoscimento dell’Accademia dei Lincei. 

Quella condivisa con la nostra associazione non è stata la tua prima missione in Africa: a livello personale come affronti solitamente i giorni che precedono la partenza per il continente africano? E come vivi quelli successivi, invece?

Ci sono diversi livelli di “preparazione”: uno dei primi è quello molto pratico, organizzativo e riguarda procedure burocratiche come per esempio la richiesta di un visto o la verifica di alcune vaccinazioni o comunque il controllo che tutti i documenti siano in ordine. Poi c’è la definizione di un piano di lavoro legato a un piano di spostamenti che deve essere garantito. Spesso, infatti, muovendosi in Paesi in cui non si risiede è importante avere riferimenti anche da un punto di vista logistico, per essere sicuri di tutti gli spostamenti. Il piano puramente organizzativo si lega, poi, a un piano giornalistico: bisogna fare in modo che queste tappe, questi spostamenti, siano non soltanto sicuri ma anche ragionevoli e sensati dal punto di vista dell’utilizzo del proprio tempo, e che consentano di avvicinarsi a situazioni e interlocutori funzionali agli obiettivi che ci si dà. La valutazione di un piano di missione è sicuramente parte della preparazione. 

Dal punto di vista emotivo, invece, il viaggio di per sé, soprattutto in luoghi che non si conoscono, è un’esperienza in particolare per tutti, che si faccia il giornalista o che si faccia altro. E quindi ci sono viaggi che riescono meglio, altri peggio anche da un punto di vista della partecipazione e della propria apertura rispetto, per esempio, a ciò che si incontra. Non tutti i viaggi sono uguali e non in tutti i viaggi si riesce a essere così aperti e avere anche la capacità di essere più profondi nello sguardo e nella partecipazione. Sicuramente ci sono anche degli elementi personali che si riflettono in tutte le esperienze che si vivono: c’è un vissuto che si esprime nei vari momenti e nel modo di viverli. 

Cosa ha caratterizzato in modo particolare la missione in Africa con la nostra associazione? Che cosa ti ha sorpreso in questa esperienza?

Una delle cose che ci ha colpito di più e che abbiamo anche raccontato in un articolo, è stata la partecipazione e la grande motivazione dei giovani, soprattutto dei ragazzi che stanno svolgendo l’esperienza del Servizio Civile Universale. Sono persone molto motivate, molto determinate e capaci poi di cogliere anche ciò che, egoisticamente e individualmente, si può trarre da un’esperienza del genere. È una cosa bella perché non si tratta soltanto di aiutare qualcuno, ma è chiaro che da quel contesto si prende e si riceve, in termini di esperienza e di arricchimento personale.

Ho notato subito questa consapevolezza: sono ragazzi che lavorano lontani da casa e spesso si confrontano con alcune difficoltà oggettive, dalla corrente elettrica al clima che magari può non essere semplice da sopportare. La sensazione e la consapevolezza, però, sono quelle di vivere un’esperienza preziosa, da cui imparare molto, un’esperienza, oserei dire, in qualche misura da privilegiati. Ho avvertito chiara questa sensazione, di non limitarsi a dare ma ricevere, ricevere molto. E se consideriamo questi ragazzi, di età compresa tra i venti e i trenta, e consideriamo questa loro consapevolezza, beh è qualcosa che incoraggia e fa ben sperare per il futuro.

Si parla di “altra Africa”: è l’Africa che non si conosce, che le persone ignorano, che non viene raccontata in modo adeguato. Nei tuoi reportage, invece, si percepiscono le storie e tutte le sfumature di un continente tanto complesso quanto affascinante. Come ci riesci?

La premessa è che tutti abbiamo delle idee, dei preconcetti, dei pregiudizi o dei modi in cui ci aspettiamo che gli altri o le altre cose appaiano. A questo bisogna aggiungere che il periodo particolare che viviamo e le difficoltà di un settore in sofferenza come quello dell’editoria determinano tempi brevi e il fatto che meno persone devono occuparsi di più cose: tutti questi fattori possono favorire una “semplificazione” o il fatto di seguire sentieri già battuti di cui si conosce già la destinazione. Ho spesso riflettuto con chi si occupa anche di progetti innovativi sui “modi dell’informazione”, e sul fatto che spesso si privilegino le hard news, notizie o fatti in cui a dominare sono gli aspetti negativi: crisi, conflitti, disastri. 

Sicuramente ognuno ha una sua modalità di racconto e sfuggirvi non è semplice. C’è chi sostiene che la notizia è qualcosa che deve sorprendere e stare al di fuori di un tracciato già noto e che altrimenti non è nemmeno notizia. È importante essere critici col proprio lavoro però l’idea di raccontare ciò che si intuisce avere un valore e un significato e che è meno raccontato oppure ignorato, fa pensare che quel tipo di notizia, quel tipo di testimonianza, quella storia possa e debba essere condivisa.

Nel mondo le notizie sono un’infinità, quindi la scelta è già di per sé un arbitrio: bisogna essere molto attenti nella scelta e procedere con occhi attenti e curiosi. 

In un tuo recente articolo hai parlato del ruolo dei media e di come siano capaci di influenzare la “macchina” degli aiuti umanitari. Anche per questo il tuo impegno è spesso a favore di realtà che, non essendo giganti della cooperazione, fanno fatica a ritagliarsi uno spazio per raccontare e comunicare al grande pubblico?

Ogni giornalista ha il compito di verificare, di garantire la completezza, l’equilibrio, l’onestà e l’accuratezza della notizia. Penso che sia giusto provare a concentrarsi su aspetti di rilievo, aspetti che meritano attenzione rispetto a temi che magari per un lettore possono essere divertenti però non hanno la capacità di sollevare temi rilevanti. C’è tanta attenzione su realtà associative di grosse dimensioni e quindi naturalmente la stampa o la televisione ne parlano e le raccontano. C’è, però, anche una miriade di piccole e medie associazioni che soffrono una scarsa visibilità, non intesa come visibilità per dar lustro all’associazione, ma semplicemente perché parlando dell’associazione e di quello che fa, l’associazione può poi avere più strumenti per farlo meglio. Nel racconto giornalistico l’attenzione può e deve essere posta anche su queste realtà in modo da favorire la sensibilizzazione dell’opinione pubblica e aprire la strada anche a un intervento da parte dei decisori politici, facendo conoscere a più persone possibili queste attività fondamentali e tanto importanti.

Ringraziamo Vincenzo per il tempo dedicato a questa intervista e per descritto volti, luoghi, emozioni e speranze della grande famiglia di Comunità Solidali nel Mondo con parole tanto delicate quanto forti e dense di significato, restituendo un ritratto della Tanzania che porteremo nel cuore per molto tempo.

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