
Un anno nei Corpi Civili di Pace: fotografia di una comunità
DAR ES SALAAM (TANZANIA) – Un anno di impegno e di azioni sul campo, da ottobre 2023 a ottobre 2024, per favorire la presa di coscienza dei propri diritti da parte delle persone con disabilità in Tanzania. E’ stato questo il servizio svolto dalle due operatrici volontarie dei Corpi Civili di Pace che, insieme a Comunità Solidali nel Mondo, hanno dato volto e vita ad uno dei progetti rientranti nel programma del Dipartimento italiano per le politiche giovanili e il Servizio Civile Universale che si prefigge di costruire una pace positiva e una collaborazione tra i paesi attraverso l’invio di un contingente di giovani impegnati in specifiche azioni civili, non armate e non violente, che promuovono nel mondo la pace e l’affermazione dei diritti umani e del benessere sociale (approfondisci qui).
Prisca Santarelli e Alessandra Civita hanno svolto il loro servizio operativo in Tanzania a Dar es Salaam, presso il centro di riabilitazione su base comunitaria Antonia Verna – Kila Siku: un anno ricco di relazioni con la comunità locale e di azioni concrete per favorire la consapevolezza dei diritti nella popolazione con disabilità.
“Nel corso di questo anno – racconta Prisca – abbiamo condotto un’indagine sui diritti delle persone con disabilità e nello specifico sulla percezione della disabilità e l’accesso ai servizi nel distretto di Kinondoni: un’attività a cui si è legata anche un’azione attiva di sensibilizzazione sui diritti, attuata in collaborazione con le operatrici e gli operatori locali. Abbiamo anche lavorato – continua – sul supporto ai gruppi comunitari di caregivers di bambini con disabilità presenti nel centro: si tratta di due gruppi di mamme che si dedicano uno all’attività di sartoria e l’altro alla creazione artigianale del sapone. In entrambi i casi l’obiettivo è quello di trasmettere competenze specifiche per sviluppare attività di micro-impresa e migliorare le condizioni socio-economiche delle famiglie”.
Questo supporto all’imprenditorialità femminile (la maggior parte dei caregivers sono, infatti, donne, spesso mamme single) con la fine del servizio di Prisca e Alessandra lascia il testimone alle operatrici e agli operatori locali, che proseguiranno il lavoro avviato: “Saranno anche le stesse mamme che hanno ricevuto queste formazioni a formare via via altre caregivers, in un’ottica di ownership, sostenibilità ed empowerment collettivo: la speranza è che questo possa essere l’inizio di un percorso che renda queste mamme autonome da un punto di vista economico, consapevoli di quelle che sono le proprie potenzialità, unite le une con le altre, capaci di far valere i propri diritti e quelli, spesso purtroppo negati, dei propri figli e delle proprie figlie”.
L’indagine sui diritti: uno sguardo sulla società tanzaniana
L’indagine effettuata dalle due operatrici italiane, pur non pretendendo di essere esaustiva, ha permesso di fare luce su alcuni fenomeni degni di nota, lasciando in eredità un patrimonio di conoscenze che potrà essere sfruttato per una migliore gestione e programmazione di interventi futuri.

Condotta a Dar es Salaam su un campione di 200 persone nei quattro quartieri di Kawe, Mbezi Juu, Mikocheni e Bunju, nonché presso l’Antonia Verna – Kila Siku Community-Based Rehabilitation Centre, e con la collaborazione delle autorità governative locali, l’indagine ha approfondito la percezione generale della disabilità e tutti i principali problemi riguardanti l’accesso ai servizi (sia scolastici sia sanitari), i mezzi di sussistenza e la partecipazione sociale delle persone con disabilità. I dati sono stati raccolti fra marzo e agosto 2024 attraverso interviste effettuate di persona sulla base di un questionario multidimensionale di oltre 60 domande, distinte sulla base dei destinatari: da un lato 75 adulti con disabilità e dall’altro 125 genitori o tutori di bambini con disabilità.
La ricerca racconta che, rispetto alla percezione delle cause della disabilità, oltre il 78% degli intervistati ritengono che essa derivi da fattori non scientifici (volontà divina, magia nera, maledizioni), contro il 22% di chi la lega a fattori scientifici (problematiche prenatali, fattori genetici, ecc.). Non stupisce dunque che oltre il 45% del campione abbia ammesso di aver fatto ricorso a metodi di guarigione tradizionali o religiosi (guide spirituali, guaritori, ecc.) e che solamente 33 soggetti su 200 dichiarino di aver sentito parlare del Disability Act, la più importante normativa (entrata in vigore nel 2010) specificamente dedicata alla disabilità attualmente presente nel panorama normativo tanzaniano. Al riguardo, ben il 71% degli intervistati confessa di non averne mai sentito parlare.
In questo contesto generale emerge che, rispetto alle famiglie senza membri con disabilità al loro interno, gli individui intervistati dichiarano di sentirsi in posizione chiaramente (20%) o leggermente (48%) svantaggiata, mentre a non percepire alcun svantaggio è una parte minoritaria (il 32%) del campione. Interessante notare che quasi la metà di questi ultimi frequenta regolarmente un centro di riabilitazione, il che lascia intendere che una percezione positiva della propria condizione influenza la scelta di rivolgersi alle strutture sanitarie e che, al contempo, la frequenza di queste favorisca una percezione positiva di sé migliorando la prospettiva di vita.

Nel concreto, l’indagine segnala che le persone con disabilità spesso incontrano ostacoli oggettivi che impediscono loro di accedere ai servizi e ai diritti previsti dalla legislazione.
Ad esempio, nel campo dell’istruzione è stato rilevato che quasi la metà dei bambini con disabilità in età scolare presenti nel campione di riferimento non ha la possibilità di frequentare la scuola a causa soprattutto di edifici inaccessibili (o di rifiuto da parte delle autorità scolastiche): per essi, dunque, non c’è possibilità di ricevere istruzione e socializzare con i coetanei al di fuori del contesto domestico.
In tema di servizi sanitari, quasi la metà del campione (45%) segnala difficoltà di accesso alle strutture, dovute principalmente a problemi economici, e in misura assai minore alla mancanza di trattamenti specifici o di medici specializzati o ad un atteggiamento negativo da parte del personale sanitario. Le famiglie che ne usufruiscono si rivolgono per oltre la metà agli ospedali pubblici (52%), e in misura minore a centri di riabilitazione (40%) o ad altre cliniche private o farmacie.
In tema di occupazione, nemmeno un quarto (24%) degli intervistati di età superiore ai 18 anni ha un lavoro, per lo più nel settore informale (lavoro autonomo e piccole imprese). La maggior parte degli intervistati invece (76%) non lavora, e fra questi due su tre attribuiscono proprio alla loro disabilità il mancato impiego in un’attività produttiva. E’ un dato, questo, che può stimolare una riflessione su quanto sia alto il rischio che una narrazione preconcetta venga interiorizzata e quanto sia importante dunque proporre nuovi paradigmi liberi da stereotipi nei confronti delle persone con disabilità.
A questo proposito, pur in presenza di una scarsa conoscenza delle leggi specifiche relative alla disabilità, durante la somministrazione dei questionari si è riscontrato in genere un notevole interesse per tali tematiche, segno che esiste una potenzialità sommersa che può essere risvegliata. Così come si è visto che su 60 adulti intervistati su questo specifico punto, solo nove hanno avuto l’opportunità di partecipare ad una formazione professionale, e di questi in cinque (cioè la maggioranza) oggi hanno un’occupazione. Queste due ultime considerazioni rendono evidente come la disabilità non si presenti necessariamente come un ostacolo allo svolgimento di un lavoro, e il coinvolgimento delle persone con disabilità nel mercato del lavoro è un obiettivo che, opportunamente ricercato, può essere raggiunto in proporzioni assai maggiori di quelle attuali.

E’ proprio per intercettare e attivare queste potenzialità che già durante il servizio delle due operatrici dei Corpi Civili di Pace sono state avviate attività di sensibilizzazione presso il CBR Antonia Verna – Kila Siku, tra cui sessioni di formazione e distribuzione di materiale informativo (appositamente ideato e messo a punto da Prisca e Alessandra) sui diritti delle persone con disabilità. Sono tutte informazioni e risorse che restano ora alla comunità di Dar es Salaam: insieme ad essa ComSol continuerà a lavorare perché sempre più persone con disabilità possano acquisire consapevolezza di sé e dei propri diritti.
Se anche tu vuoi partecipare a questa azione che vuole migliorare il futuro delle persone con disabilità in Tanzania e che non si improvvisa ma richiede costanza, competenza e impegno da parte di tutti, puoi contribuire con una donazione.