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Appunti di viaggio e di missione.

Appunti di viaggio e di missione.

30 Gennaio 2023

Cos’è, davvero, una missione?

Questa domanda ci è venuta in mente tante volte, soprattutto prima o al termine dei nostri frequenti viaggi in Tanzania, e abbiamo spesso cercato di formulare una risposta corretta. Per noi una missione è un cammino di semina, una strada da concimare con passione, un prato che si aspetta di veder nascere e crescere. Una missione, poi, è condivisione e questa volta abbiamo deciso di condividere le parole di chi l’ha vissuta direttamente, in ogni suo momento: questo è il racconto dell’ultimo viaggio in Tanzania del nostro Presidente, Michelangelo Chiurchiù.

Cosa succede in Tanzania.

Chi si occupa di progetti nel Sud del mondo ha una domanda che tiene segreta: le iniziative che stiamo promuovendo sono una risposta a bisogni veri e reali oppure sono solo proiezioni di nostri desideri e di nostre idee? 

La verifica che abbiamo fatto del “Programma Epilessia” avviato lo scorso anno ci ha dato una conferma che da un lato ci ha confortato nelle scelte fatte ma dall’altro si è, invece, rivelata drammatica: l’epilessia in Tanzania è un problema per cui non esistono risposte concrete, un problema che crea angoscia e disperazione nelle famiglie. Mancano strutture adeguate, manca il personale preparato, manca anche (o forse soprattutto) una cultura che sappia combattere lo “stigma” che colpisce le persone con epilessia.

È stato, in questo senso, emblematico l’incontro con Mama Fides, Presidente della Tanzanian Epilespy Organisation, lapiù grande associazione che si occupa di epilessia in Tanzania, e mamma di un bambino epilettico di sei anni: una donna molto coraggiosa che finalmente ora, grazie ai sanitari di un nostro Centro, ha trovato la cura adeguata per il suo piccolo. 

Mama Fides ci ha confidato di averle provate tutte e di essersi persino rivolta a uno stregone che, approfittando della sua disperazione, le ha spillato molti soldi e che, senza alcuno scrupolo, le ha detto: “La vera causa della malattia di tuo figlio è tuo marito che vi ha gettato addosso il malocchio!”

Ci ha poi confidato, sorridendo: “Per fortuna non gli ho creduto perché altrimenti la mia vita sarebbe diventata un inferno! Da sola e senza una casa come avrei potuto affrontare i problemi di mio figlio e il nostro mantenimento? Mi sono, invece, affidata ai medici e ho trovato un aiuto vero e concreto nel vostro Centro perché adesso il bambino è in terapia e ha una vita quasi normale. Il mio impegno è quello di fare vera informazione partendo proprio dalla mia storia, per poter trasmettere alle altre mamme il messaggio che l’epilessia si può curare e che dobbiamo diffidare dei cialtroni che pensano solo ad approfittare del nostro dolore”.

Disegnare l’epilessia.

Un sabato mattina Valerio, un nostro giovane fisioterapista e cooperante, ci ha portato in un Centro sociale a Dar Es Salaam dove un maestro d’arte ha avviato un laboratorio artistico che va avanti da due mesi e si tiene una volta alla settimana. Quando siamo arrivati abbiamo incontrato trenta ragazzi che stavano ascoltando attentamente la testimonianza del giovane presidente di un’altra associazione di giovani epilettici, ed epilettico lui stesso. Con un suo collega ha spiegato che cos’è l’epilessia e come intervenire se si verifica una crisi. Lo ha fatto chiedendo a uno dei ragazzi presenti di simulare proprio una crisi, dando una breve ma incisiva istruzione al volontario (i ragazzi tanzaniani sono attori nati!). Al segnale concordato è iniziata la simulazione e i giovani istruttori sono subito intervenuti: lo hanno messo di lato sostenendogli il capo e con il cellulare hanno chiamato un soccorso sanitario. I ragazzi sono stati attentissimi e la dimostrazione della loro piena comprensione è arrivata guardando i disegni che il maestro ha chiesto loro di fare sui fogli distribuiti subito dopo: trenta opere d’arte, frutto di sensibilità e capacità davvero inedite.

Tutto questo ci ha confortato. Il progetto epilessia prevede una “Campagna contro lo stigma”: questo lavorare dal basso è lento ma è assolutamente efficace, i ragazzi sono portatori di una nuova coscienza, sono i testimoni che il cambiamento è possibile e confermano che dobbiamo partire proprio da loro perché sono loro la nostra speranza nel Sud ma anche nel Nord del mondo.

Dove tutto è cominciato.

Inuka è la nostra prima creatura. Nasce come Centro di riabilitazione nel 2011, diventa punto di riferimento come Centro di eccellenza per tutto il Paese e da alcuni mesi è accreditato dal Ministero della Salute tanzaniano come “Ospedale di Riabilitazione”.

Il direttore, padre Nestor, ci dice orgogliosamente: “Attualmente Inuka ospita, oltre a bambini provenienti da altre regioni del Paese, ben due pazienti del Malawi e tre dello Zambia. Se ci sono donne che hanno portato qui i loro figli con disabilità affrontando viaggi spaventosi, significa che il passaparola ha certificato la qualità del servizio del nostro Centro”.

Questo orgoglio è tangibile anche negli operatori che incontriamo e che ci salutano con affetto. Le operatrici più anziane, quelle degli inizi coraggiosi e pionieristici, sono incuranti del naturale pudore tanzaniano e ci abbracciano, dicendo sottovoce: “Senza di voi questo non sarebbe stato possibile: adesso i nuovi operatori non lo sanno, ma noi lo sappiamo bene e non lo dimentichiamo”.

Partecipiamo a un Consiglio di Amministrazione in presenza, dopo ben due anni di stop dovuti al Covid.  Siamo felici di vedere come il nostro fedele accompagnamento nella gestione di questi dodici anni stia portando risultati: maggiore competenza nella gestione economica e delle risorse umane e maggiore capacità di programmazione, rafforzata dalla collaborazione con le Istituzioni pubbliche che riconoscono la qualità della struttura. 

Insieme a questo, però, emerge il sottile ma chiaro messaggio di desiderio di maggiore autonomia: è il passaggio delicato che segna la crescita di tutte le iniziative e i progetti nati da “fondatori” e donatori esterni. Comunità Solidali nel Mondo ha sempre auspicato che, dopo la spinta iniziale di cui è stata partecipe e protagonista, adesso siano i partner tanzaniani, gli operatori locali, le persone che sono state formate, a dire la loro e a camminare con le proprie gambe.

Per noi è motivo d’orgoglio e anche di speranza per il futuro se attraverso il “modello Inuka” si è potuto sperimentare che, se adeguatamente supportati, i progetti possono liberarsi da questo vincolo delle donazioni del Nord del mondo e offrire orgogliosamente i loro servizi ai propri cittadini.

Progetto Simama.

Dal 2013 abbiamo avviato una collaborazione con la Caritas diocesana e con un grande amico, Padre Furaha, che ci ha permesso di sostenere le attività di questo progetto a favore di almeno 600 persone con disabilità della Regione di Mbeya. Nonostante il grande successo non eravamo soddisfatti: volevamo dare un sostegno ulteriore a Simama affinché potesse decollare in autonomia e offrire servizi di qualità adeguata.

Da quest’anno, grazie ai progetti sull’epilessia e sulla malnutrizione promossi dalla nostra associazione, abbiamo le risorse necessarie per contribuire all’assunzione di nuovi professionisti e per dare una spinta concreta alla qualità del servizio. Inoltre, è stato individuato a Iyunga, un quartiere della città di Mbeya, uno spazio giusto per offrire servizi adeguati e maggiori. A Iyunga, infatti, è già in funzione un centro di salute e sarà inaugurato a breve un nuovo ambulatorio per la cura dell’epilessia, oltre a un centro residenziale per l’accoglienza di bambini con disabilità che vengono da lontano e hanno bisogno di cicli di terapia. E’ stato poi presentato un nuovo progetto per costruire un ostello destinato all’accoglienza dei volontari professionalizzati (medici, fisioterapisti, ecc.) che potranno soggiornare per periodi anche brevi per dare un apporto significativo alle attività del centro.

I nostri figli.

Giovanna, una fisioterapista che sta svolgendo il suo periodo di Servizio civile a Dar Es Salaam, mi fa notare che nella palestra dove si fanno gli esercizi se una mamma si assenta momentaneamente e il suo bambino piange c’è sempre un’altra mamma che lo prende in braccio e lo coccola. È questa l’immagine più bella e significativa di un altro approccio all’educazione e alla vita sociale ,quello che vediamo ogni giorno in Tanzania: i bambini sono figli di tutti, e tutti se ne fanno carico.

Un approccio agli antipodi rispetto a quello che si riscontra nei nostri Centri di Riabilitazione, nelle scuole e nelle palestre, in cui il pensiero ricorrente è: “Il figlio è mio, e solo mio”. 

Michelangelo Chiurchiù, Tanzania, dicembre 2022

Questi figli, questi bambini, sono figli e bambini di tutti, e di loro tutti vorremmo e dovremmo prenderci cura. A loro dovremmo pensare nel nostro fare quotidiano, a loro dovremmo dedicare i nostri sforzi. Noi cerchiamo di farlo sempre, con tutte le energie e le risorse di cui disponiamo: se vuoi farlo anche tu cerca, tra quelli disponibili, il modo che preferisci per donare e supportare le nostre attività in Tanzania.

Ringraziamo Michelangelo per la sua testimonianza e ti diamo appuntamento alla prossima missione! 

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