
Valentina, per lei la fisioterapia a domicilio dopo due anni di stop
Valentina è stata ferma per due anni. Due anni senza terapia riabilitativa, quella terapia di cui avrebbe avuto grande bisogno in ragione della sua disabilità neuromotoria. Giada, una delle civiliste che per Comunità Solidali nel Mondo svolgono il Servizio Civile Universale in Tanzania, l’ha conosciuta durante una delle visite domiciliari nel quartiere di Goba, a Dar es Salaam. La bambina, di appena tre anni, aveva iniziato una terapia al Centro CBR Antonia Verna in coincidenza con il compimento del suo primo anno di vita. Poi, per ragioni contingenti, la famiglia si era ritrovata nell’impossibilità di garantire la frequenza del Centro e Valentina per due lunghi anni non ha effettuato alcuna terapia. Una mancanza che si è sentita. Ma, grazie alle visite domiciliari, ha potuto ritrovare una possibilità che infatti ha subito generato evidenti progressi. Un esempio concreto di come sia fondamentale garantire l’accessibilità alle cure e di quanto sia importante il programma di visite domiciliari per le famiglie e i bambini interessati. Ecco il racconto nelle parole di Giada.
Valentina, dal pianto al sorriso: il mio accompagnarla con pazienza
di Giada Valente, operatrice volontaria SCU 2024/25
Ho incontrato Valentina per la prima volta qualche mese fa, durante una delle mie prime visite domiciliari da quando ho iniziato a lavorare con il Centro CBR Antonia Verna a Dar es Salaam. È una bambina di quattro anni con paralisi cerebrale, che il centro e gli operatori conoscono da tempo.
Quel primo incontro non è stato facile. Durante una delle visite domiciliari nel quartiere di Goba, ci siamo diretti verso una casetta incastrata sulla sommità di una collinetta alberata. Destreggiandosi tra mestole e padelle, la signora Sauga, mamma della piccola, ci ha accolte con calore dalla cucina, offrendoci un bicchiere d’acqua. Appena entrati nel piccolo salotto, la reazione della piccola nei miei confronti è stata inaspettata: Valentina è scoppiata in un pianto inconsolabile. La mamma mi ha detto che probabilmente era spaventata dal colore della mia pelle, a cui non era per nulla abituata. Non riuscivamo a calmarla in nessun modo: si irrigidiva, si girava dall’altra parte, piangeva a pieni polmoni. Alla fine, sono uscita dalla stanza per darle modo di tranquillizzarsi e permettere alle operatrici di lavorare con lei.
Quel momento mi ha colpita molto, non solo per la difficoltà emotiva, ma perché segnava un inizio. Uno di quei momenti che non puoi forzare, ma solo accompagnare con pazienza. Da quel giorno, ho continuato a tornare a casa sua regolarmente, insieme al team. E poco a poco, le cose sono cambiate.

La prima volta che Valentina mi ha guardata senza piangere, semplicemente osservandomi con un’espressione curiosa, mi è sembrato un piccolo successo. Poi ha iniziato a tollerare la mia presenza nella stanza. Infine, un giorno, mi ha sorriso. Oggi mi permette di toccarla, di aiutarla a distrarsi durante gli esercizi, a volte mi cerca con lo sguardo. Sono piccoli gesti, ma nel nostro lavoro parlano forte. Parlano di fiducia, di relazione, di tempo condiviso.
Nel frattempo, ho imparato di più anche sulla sua storia. Valentina è arrivata al centro tre anni fa, quando aveva appena compiuto un anno. Era malnutrita e non aveva ancora sviluppato le competenze motorie di base: non stava seduta, non parlava, non si reggeva in piedi. Ma fin da subito era chiaro che c’era una base su cui lavorare. Aveva un buon controllo del capo, riusciva a girarsi sul fianco, e se sostenuta riusciva a mantenere la posizione seduta per qualche momento. Tutto questo, a quell’età, rappresenta una finestra importante su cui intervenire.
E infatti, nei primi mesi, Valentina ha frequentato il centro con una certa continuità. Gli interventi riabilitativi si sono concentrati sia sulla parte nutrizionale sia sulla stimolazione motoria. Ma poi, a partire dalla fine del 2022, per motivi economici e logistici, la famiglia ha dovuto interrompere la frequenza. Nessuna scelta deliberata, nessun rifiuto dei trattamenti: solo la realtà pratica e spesso insormontabile di chi vive in contesti fragili. Il costo del trasporto, la distanza, la difficoltà di conciliare tutto con il lavoro e la cura degli altri figli. E così, come succede troppo spesso, il percorso si è interrotto.
Per quasi due anni, Valentina è rimasta senza terapia. E quello che avrebbe potuto essere un periodo di sviluppo importante, è diventato un tempo di stasi. Alcune competenze acquisite si sono mantenute, altre si sono indebolite. Soprattutto, si è persa quella continuità che è fondamentale per ogni bambino con disabilità neuromotoria. Non si tratta solo di “fare esercizi”, ma di costruire, giorno dopo giorno, quelle connessioni tra corpo e ambiente che permettono a un bambino di acquisire fiducia nei propri movimenti, di sperimentare, di scoprire che può fare qualcosa in più.
Con l’inizio del 2024, Valentina ha potuto riprendere a ricevere fisioterapia grazie al servizio di outreach, che permette ai terapisti del centro di raggiungere i bambini a domicilio. Questo ha fatto una differenza enorme. Da allora, i progressi sono stati costanti. Oggi Valentina riesce a sillabare alcune parole, sta seduta in autonomia e riesce anche a mantenere la posizione eretta per qualche secondo senza supporto. Non sono traguardi eclatanti agli occhi di chi guarda da fuori, ma per lei sono risultati importantissimi, che le aprono possibilità nuove, in termini di autonomia, comunicazione e interazione con l’ambiente.
Osservarla cambiare mi ha fatto riflettere molto su quanto sia cruciale poter intervenire presto e con continuità. Il suo caso, pur nella sua singolarità, è anche emblematico: quando un intervento fisioterapico inizia nei primi anni di vita e viene mantenuto nel tempo, è possibile non solo conservare ma anche sviluppare funzioni corporee che altrimenti andrebbero perse o si atrofizzerebbero. I primi anni sono il momento in cui il corpo e il sistema nervoso sono più plastici, più aperti al cambiamento. Ma quella finestra si chiude in fretta. Se viene lasciata vuota, diventa molto più difficile — se non impossibile — recuperare in seguito ciò che non è stato costruito.
Eppure, anche con un’interruzione di due anni alle spalle, Valentina ha ricominciato a fare progressi. Questo dice molto anche sulla forza delle famiglie, sulla resilienza dei bambini e sull’importanza di un supporto che sia accessibile, rispettoso dei tempi delle persone e vicino ai loro bisogni reali.
Valentina non è un’eccezione, e nemmeno un simbolo. È una bambina reale, con un corpo che cambia, che sente, che prova, che si sforza. E accompagnarla in questo percorso, giorno dopo giorno, è anche per me un’occasione continua di apprendimento. Mi ricorda che il nostro lavoro non si misura solo nei “risultati”, ma nella possibilità di rendere accessibili spazi, movimenti, relazioni. E che, per farlo, serve tempo, presenza, fiducia, e soprattutto continuità.