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Clara e Chiara, la terapia domiciliare che aiuta

Clara e Chiara, la terapia domiciliare che aiuta

31 Gennaio 2025

Clara è una ragazza tanzaniana con disabilità, ha vent’anni. Chiara è una ragazza italiana di 26 anni, che a Mbeya per Comunità Solidali nel Mondo sta svolgendo il suo anno di Servizio Civile Universale all’estero. Il racconto che vi proponiamo, scritto da Chiara, testimonia l’incontro con Clara e la ricchezza della relazione che nasce fra le due. E’ uno dei frutti delle visite domiciliari che le équipe dei Centri di riabilitazione Simama svolgono nella regione di Mbeya, recandosi periodicamente nelle abitazioni di quei bambini o ragazzi che non possono andare nei Centri ma che hanno assoluto bisogno del trattamento e delle terapie stabilite dal loro piano riabilitativo. Un servizio essenziale e necessario che per questi minori diventa l’unica forma possibile di assistenza.

Le équipe del servizio di terapia domiciliare sono composte da un terapista, un assistente sociale, se necessario uno psicologo, e sono affiancate dai giovani volontari del Servizio Civile Universale. E’ un’attività indispensabile ma anche particolarmente impegnativa e dispendiosa, sia in termini di tempo (molte volte si impiegano ore per attraversare strade e villaggi, e si raggiunge un solo paziente alla volta) sia in termini di spese per il carburante e per il personale che compone l’équipe. Per questo c’è bisogno di un contributo concreto: donare una terapia riabilitativa a domicilio. Dal tuo aiuto dipende davvero la possibilità di garantire a molti bambini un trattamento riabilitativo adeguato.

Lo avevamo sottolineato con l’iniziativa “A Natale vieni con noi a casa loro”. Lo ripetiamo ora, perché per le bambine e i bambini della Tanzania, e per tutti noi, il vero Natale è lungo un anno intero.

Una visita a Clara: un incontro che va oltre le parole

di Chiara Della Mora

Prendo il daladala, il tipico minibus che percorre le strade di Mbeya, e mi avvicino allo standi dove mi aspetta Dorcas, una lavoratrice del centro di Iyunga. Insieme, attraversiamo il villaggio, salutando i passanti, che si sorprendono quando rispondo al loro saluto in swahili. Mi piace questa connessione immediata con la gente del posto, che mi fa sentire un po’ più a casa, anche se lontano mille miglia dalla mia. Arriviamo di fronte a un portone di ferro rovinato, e Dorcas entra con un forte “Hodi!” (permesso). La porta si apre lentamente, e ci troviamo di fronte a una donna che si sta lavando nel giardino, intenta a versare acqua da un secchio. Con un sorriso genuino, si scusa per la sua condizione e ci invita ad entrare, facendoci sentire immediatamente i benvenuti.

La mamma di Clara, “mama C”, chiama la figlia. Da dietro una tenda, una giovane ragazza con le treccine si affaccia. Le dico: “Ciao, io sono Chiara!”. Mi guarda come se le avessi portato un regalo, e mi risponde: “Anche io!” con una risata che illumina il piccolo spazio (i tanzaniani fanno confusione con le lettere R/L per cui per loro Chiara e Clara è uguale). Mi siedo accanto a lei e le prendo le mani, ci sorridiamo a vicenda.

C’è qualcosa di speciale in quel momento, come se ci conoscessimo da sempre. Nel piccolo soggiorno sono presenti anche gli altri professionisti del centro: la fisioterapista Hanifa, lo psicologo John, e i fratelli di Clara, che sono appena tornati da scuola. Eppure, tra me e Clara sembra esserci un’intesa particolare, una sorta di attenzione che rende tutto il resto invisibile. Con il mio limitato swahili, comincio a farle qualche domanda. “Quanti anni hai?” chiedo, e lei risponde, con orgoglio: “Venti”. Nel frattempo, da un angolo della stanza, la nonna osserva la scena in silenzio, mentre la radio lampeggia e riempie l’aria del ritmo della musica tanzaniana.

Clara si sposta lentamente, trascinando il suo corpo. È affetta da paralisi cerebrale spastica, una condizione che le causa una grave rigidità muscolare e limita i suoi movimenti. Tuttavia, la sua mente è sveglia e piena di risorse. Mi mostra un quadernino, che custodisce gelosamente. È un piccolo tesoro, pieno di tracce lasciate nel tempo dai volontari che si sono succeduti a Mbeya. Dentro, ci sono liste di vocaboli in tre lingue: swahili, inglese e italiano. Clara, con sorpresa, ricorda alcuni termini in Italiano e mi dice, con un sorriso timido: “Mi piace l’Italiano“.

Clara presenta una disartia significativa, una difficoltà nel linguaggio che accompagna molte persone con paralisi cerebrale. Il suo eloquio è poco comprensibile per chi non la conosce bene, ma sua madre la capisce al volo. Anche il fratellino Andrei, che osserva divertito, non disturba il nostro incontro, ma sembra apprezzare la nostra interazione. Come logopedista, questo incontro rappresenta uno dei primi casi in cui posso intervenire direttamente. Mi sento finalmente nel mio elemento, pronta a portare un piccolo contributo professionale. Dopo qualche incontro, inizio a proporre esercizi per il controllo della muscolatura orale, fondamentali per migliorare la produzione dei suoni e la qualità della sua comunicazione. Ogni piccolo progresso è una grande vittoria.

La difficoltà motoria di Clara le impedisce di camminare normalmente e di usare le mani per compiere gesti quotidiani, come scrivere o afferrare oggetti. Ma Clara non si arrende. Nel sacco del “materiale dei volontari” scovo dei tappi di metallo delle bottiglie su cui sono state apposte lettere. Le chiedo di comporre il nome di un grande animale che ha le orecchie grandi ed è di colore grigio. Con fatica e determinazione, Clara raccoglie le lettere e compone la parola “T-E-M-B-O” (elefante). I suoi occhi si illuminano quando si accorge di aver trovato la risposta giusta, dimostrando quanto desideri imparare, nonostante le sue limitazioni fisiche.

Nonostante la sua grande voglia di studiare, Clara non ha potuto completare la scuola a causa delle difficoltà nel trasporto. Oggi, a vent’anni, la sua vita si svolge tra le mura di casa. La mamma non riesce più a portarla sulla schiena con il tessuto tradizionale. L’esistenza di Clara è tranquilla ma confinata: non ha mai visto i grandi animali che tutti conosciamo dai safari, ma ricorda con affetto un viaggio a Dar Es Salaam, sulla costa, per alcune visite mediche. Non ricorda com’è il mare, ma mi dice: “Sicuramente era bello”.

Il sogno di Clara è venire in Italia, a Roma, per incontrare il Papa. Nonostante le difficoltà della sua vita, questo desiderio grande sembra alimentare la sua curiosità verso il mondo. Il suo interesse nell’imparare l’italiano, che è il filo conduttore con i volontari che nel tempo l’hanno aiutata, è la prova del suo spirito di apprendimento.

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