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Autore: Francesco Cartei

Contro epilessia e malnutrizione tanti passi avanti

E’ stata un’altra bella avventura, formalmente giunta ora al capolinea ma che lascia aperte e pienamente operanti sul territorio delle dinamiche di sviluppo che per la Tanzania rappresentano un prezioso aiuto e un valido contributo al riconoscimento pieno del diritto alla cura di tutte le persone, con o senza disabilità. La soddisfazione che resta è quella di aver accompagnato la comunità locale in un percorso di graduale conoscenza da un lato delle cause e dei rimedi alla condizione di malnutrizione e dall’altro lato della cura e della gestione dell’epilessia, con in parallelo un’azione concreta in tre località che ha portato a risultati destinati ad espandersi ulteriormente.

Questa è la storia del progetto  “Beati i misericordiosi – Heri walio na huruma”, attuato nell’ultimo biennio grazie al finanziamento della Conferenza Episcopale Italiana attraverso i fondi dell’otto per mille alla Chiesa Cattolica. E’ la storia dei partner locali che ci hanno accompagnato in un percorso che è stato parte di un’ampia strategia pluriennale di cooperazione internazionale, capace di muoversi dentro un sistema collaudato di collaborazione che, a conti fatti, ha portato i frutti che insieme ci eravamo proposti di ottenere. Questa è la storia, soprattutto, delle tante persone che abbiamo incontrato e conosciuto; delle tante bambine e dei tanti bambini che hanno trovato cure e risposte adeguate alla loro condizione di epilessia o di malnutrizione; delle tante mamme e dei papà che si sono preoccupati per loro e occupati di loro; è la storia del personale sanitario dei Centri che li hanno presi in carico e di quei medici provenienti da tutta la Tanzania che hanno ricevuto una formazione adeguata e hanno portato le loro nuove competenze e il loro nuovo sapere al servizio dei loro territori di origine. E’ la storia di tutti coloro che oggi, rispetto a due anni fa, sono più consapevoli dei propri e degli altrui diritti, e che insieme si sono dati aiuto e sostegno reciproco.

Lotta all’epilessia, una novità necessaria

In “Beati i misericordiosi” due sono stati i rami d’azione fondamentali, quello dell’epilessia e quello della malnutrizione. Implementato in particolare nelle città di Dar es Salaam, Ifakara e Mbeya, il progetto ha visto la costituzione e l’avvio di due cliniche per la diagnosi e cura dell’epilessia, una all’ospedale St. Francis di Ifakara, l’altra al centro Simama di Mbeya. Ambulatori che già nei primi mesi di vita, come previsto, si sono dimostrati un servizio fondamentale per la comunità locale e che hanno permesso di sottoporre a cure specifiche (pressoché assenti in Tanzania) a più di 300 pazienti. Attività, già di per se stesse importanti per le persone coinvolte, che sono state accompagnate anche con due interventi di ampio respiro: in primis, un’attività formativa rivolta a dirigenti medici per l’acquisizione di protocolli e metodologie utili alla diagnosi e alla cura, e in secondo luogo da una campagna di sensibilizzazione per un’informazione corretta sulla malattia e lotta contro lo stigma.

A conclusione del biennio, possiamo dire che queste attività sono state fra le prime a portare alla luce la questione dell’epilessia nel territorio tanzaniano e hanno portato ad aumentare in maniera esponenziale le conoscenze della popolazione e le competenze del personale medico sul tema. Se con la dettagliata campagna di comunicazione attuata a livello nazionale (con spot radiofonici e televisivi, canali social dedicati e un sito web attivo) sono state raggiunte oltre un milione di persone con un impatto decisivo nell’eliminare lo stigma che tuttora accompagna il concetto di epilessia tra le comunità locali, le attività di formazione regionali attuate con una modalità a cascata (e in collaborazione strategica con l’Università Sfuchas di Ifakara) hanno permesso ad oltre 220 professionisti sanitari provenienti da numerose regioni della Tanzania di apprendere e acquisire competenze specifiche che oggi essi possono mettere al servizio di una popolazione notevolmente più grande di quella che abbiamo raggiunto direttamente.

Un esempio? Proprio in queste settimane, dopo il corso di formazione a cui hanno partecipato i suoi dirigenti, l’Ospedale regionale di Morogoro sta valutando l’acquisto di una macchina EEG (elettroencefalogramma), ancora nient’affatto diffusa in Tanzania. E, forse ancor più rilevante, attraverso il partner locale SHALOM si sta lavorando per ottenere la copertura pubblica dell’NHIF (National Health Insurance Fund) affinché il costo dell’esame EEG sia gratuito per chi possiede l’assicurazione sanitaria nazionale: è già così nella clinica di Ifakara, si spera che così possa essere a breve anche a Mbeya dove il costo attuale per il paziente è di 10.000 scellini tanzaniani (si tenga presente, peraltro, che nei pochi altri ospedali tanzaniani che lo erogano questo semplice esame costa mediamente dieci volte tanto, 100.000 scellini). L’obiettivo generale è allargare il più possibile e ovunque la possibilità di cura dell’epilessia, a partire chiaramente da Ifakara e Mbeya, consentendo al personale di acquisire piena autonomia nella diagnosi e nella gestione dei pazienti accolti (è attivo al riguardo un servizio di supporto da remoto di una rete di medici ed esperti italiani).

Il contrasto alla malnutrizione

Assai positivo anche il bilancio della parte di progetto dedicata al contrasto alla malnutrizione, una situazione spesso presente, come comorbilità, nei pazienti con disabilità: affrontare questo aspetto ha risposto dunque ad un bisogno distintamente avvertito dalla popolazione locale. Anche in questo caso l’attività di screening sul campo si è accompagnata ad un’intensa attività di formazione, diffusa su più figure.

A conclusione del progetto, possiamo affermare che i centri “Simama CBR” di Mbeya e “Antonia Verna –  Kila Siku” di Dar Es Salaam possono descriversi ora come strutture idonee per l’individuazione e il trattamento della malnutrizione ai diversi livelli di gravità: al personale dei due centri sono state infatti trasferite quelle competenze specialistiche necessarie per acquisire piena autonomia nella diagnosi e nella gestione della parte più consistente dei pazienti accolti. Lo screening esteso ha riguardato sia i bambini ospiti dei Centri sia quelli raggiunti a livello domiciliare o tramite i centri satellite: la misurazione, la valutazione dello stato di crescita e il confronto con le tabelle di riferimento dell’Oms hanno preceduto le attività di vera e propria presa in carico, con la  prescrizione – ove necessario – di vitamine e cibo di rinforzo.

L’attività di formazione ha riguardato anche le madri (o entrambi i genitori, o i caregivers) dei vari piccoli pazienti, in particolare nei tre ambiti delle buone pratiche per il controllo e il monitoraggio dei bambini in cura, della corretta alimentazione per se stessi e per i propri figli, e della corretta igiene personale. E’ stato prediletto un approccio pratico, con un vero workshop di cucina, in grado di coinvolgere attivamente i partecipanti: dato un determinato budget a disposizione, di entità tale da essere sostenibile economicamente per i presenti, si sono passate in rassegna le proprietà dei vari ingredienti disponibili, avviando la preparazione e la cottura di un porridge proteico e ricco di nutrienti: in questo modo i genitori si sono sentiti parte di un insieme e hanno potuto condividere tra di loro esperienze personali e difficoltà, creando gruppi uniti in grado anche di aiutarsi a vicenda. Ai genitori è proposta una lezione pratica in cui si impara a preparare cibo che sia di facile deglutizione per i problemi di disfagia dei bambini affetti da PCI (Paralisi Cerebrale Infantile).

Sono stati 279 i caregivers complessivamente raggiunti. Oltre ad essi, e ai lavoratori delle cliniche, hanno ricevuto una formazione anche gli insegnanti delle scuole e i dottori dell’ospedale regionale. In conclusione, i due anni di attività hanno contribuito a far sì che i Centri SIMAMA di Mbeya e il centro A. Verna Kila Siku di Dar es Salaam diventassero sempre più modelli per la gestione della malnutrizione nel Paese.

Le basi per un futuro migliore

E’ un risultato, quest’ultimo così come quello raggiunto in tema di epilessia, che ci rende felici e che è stato possibile perché fondato su una strategia pluriennale che Comunità Solidali nel Mondo ha portato avanti negli anni con la collaborazione del partenariato locale: un disegno ampio, attivo sin dal 2009, che progressivamente consolida i risultati raggiunti ponendosi nuovi obiettivi strettamente legati ai bisogni che emergono sul territorio. Il progetto “Beati i misericordiosi” è stato parte di questo grande lavoro, dando risposte su due versanti particolarmente sentiti e gettando le basi per un ulteriore sviluppo futuro: le attività e i risultati sono stati infatti integrati e fatti propri come punto di partenza di un altro e successivo progetto, SHINE, attuato con il finanziamento dell’Agenzia italiana per la Cooperazione allo Sviluppo e attualmente in corso.

Sono tutte azioni che hanno come propria stella polare il raggiungimento dell’autonomia delle persone, dei centri, delle strutture, delle comunità locali, perché il percorso di affermazione dei diritti possa essere pienamente consapevole e partecipato. E, proprio per questo, possa moltiplicarsi anche oltre il nostro diretto intervento.

Viva la formazione, seme del futuro 

Imparare, gli uni dagli altri. Trasmettere i saperi, far circolare le competenze, passare parola. Condividere qualcosa, dandosi sostegno a vicenda, per permettere di innescare processi di sviluppo per una comunità intera. E’ un meccanismo semplice ma niente affatto banale quello che sta dietro i percorsi di formazione che Comunità Solidali nel Mondo anima nei programmi di cooperazione che gestisce: un’attività che mette al centro la riabilitazione coinvolgendo le stesse persone con disabilità, i loro familiari e la comunità tutta. E che rappresenta il cuore del suo intervento sul territorio, secondo l’ottica della riabilitazione su base comunitaria (resa dall’acronimo CBR, Community Based Rehabilitation).

Prendete i laboratori culinari a cui di recente hanno partecipato in Tanzania le mamme – e più in generale i caregivers – dei bambini inseriti all’interno del programma contro la malnutrizione. E’ stato insegnato loro come preparare cibi nutrienti utilizzando alimenti locali a basso costo e facilmente reperibili (mais, soia e verdure), e come usare preparazioni a consistenza morbida per i minori con disfagia o con altri rischi associati all’alimentazione. E’ un sapere che passa di persona in persona, che include corsi pratici sulla dieta bilanciata e sulle misure di primo soccorso e salvataggio in caso di ostruzioni, e che dà spessore e conoscenza a chi per primo si prende cura di bambini e ragazzi. Tutte attività specifiche – queste inserite nel progetto SHINE finanziato da Aics – che fanno della comunità il centro dell’intervento per promuovere lo sviluppo.

L’azione di incontrare decine e centinaia di insegnanti delle scuole locali per formarli sui temi della malnutrizione (di recente ne sono stati coinvolti 100 a Mbeya) allarga ancora di più l’ambito di azione, perché non basta che le persone più vicine ai minori con disabilità abbiano le conoscenze necessarie e siano in grado di prendersi cura di loro in modo opportuno, ma serve che l’intera comunità abbia, in modo trasversale, quella consapevolezza che sola può favorire il rispetto dei diritti e la dignità stessa di chi ha una disabilità o una malattia. I 100 docenti di Mbeya hanno oggi gli strumenti per identificare i bambini con malnutrizione e indirizzare le famiglie verso un’adeguata consulenza: un “di più” prezioso, che proseguirà nel tempo e che costituisce un bagaglio culturale che sarà poi trasmesso ad altri insegnanti. E’ questa la cooperazione che incide e che è destinata a lasciare davvero un segno sul territorio in cui opera, non accontentandosi di fare una passerella senza reali benefici sul lungo termine.

Come è importante nel campo della malnutrizione, ugualmente la formazione è fondamentale sul versante più prettamente sanitario della riabilitazione. Il trasferimento di competenze specialistiche di diagnosi e trattamento della disabilità a tutte quelle figure di carattere medico sanitario che operano nei Centri di riabilitazione dell’orbita ComSol è fondamentale per la presa in carico del singolo minore e per un aumento della qualità dei servizi riabilitativi e sanitari offerti. Ad esempio, il progetto “Casa che accoglie” (finanziato dalla Provincia autonoma di Bolzano) prevede quest’anno la realizzazione di una serie di corsi di formazione e aggiornamento per gli operatori sanitari e i Community Rehabilitation Workers (CRWs) operanti presso il Centro SIMAMA di Iyunga, favorendo l’aumento della qualità dei servizi offerti e garantendo il continuo aggiornamento e la continua formazione del personale. Al tempo stesso la costruzione di un ostello a Iyunga è stata deciso non solo pensando di ospitarvi i caregiver del Centro riabilitativo, ma anche personale sanitario esperto proveniente da altre regioni della Tanzania o dall’estero (compresi volontari italiani professionisti fra medici, fisioterapisti e altri operatori sanitari) capaci di fornire il supporto necessario al normale funzionamento del Centro Simama e alle attività di formazione specifica.

Proprio al di là degli aspetti sanitari, è importante che attività formative siano rivolte anche ai genitori (e ai caregivers) dei minori con disabilità, per poter stimolare anche in loro – che vivono costantemente con i bambini – degli atteggiamenti proattivi trasmettendo competenze in materia di gestione della disabilità e riabilitazione. E’ esattamente ciò che è già accaduto in tantissimi progetti del passato, è ciò che accadrà a Iyunga ed è ciò che sta accadendo ora in un altro progetto, quello relativo al supporto ai minori attuato con il finanziamento dell’Unione Buddhista Italiana. Del resto, la formazione nella cura e nell’effettuazione di quella parte di terapia da eseguire fuori dalla struttura diventa essenziale per andare davvero incontro ai bisogni primari dei piccoli pazienti, garantendo loro un supporto che comprenda l’inclusione e la partecipazione: è quello che si dice Sviluppo Inclusivo su Base Comunitaria – CBID, la cui promozione è uno dei pilastri dei programmi e dei progetti di cooperazione attuati da ComSol. 

Quest’ottica è tanto ricca quanto varia. Pensate ai tanti corsi di sartoria che vi abbiamo raccontato nel corso degli anni, alle tante persone – soprattutto donne – che sono state coinvolte in un percorso che dà fiducia e che, trasmettendo una competenza, permette di sentirsi più libere e indipendenti. Un’attività che sfocia anche nella creazione degli oggetti dell’Artigianato Solidale che sono a disposizione di chiunque voglia effettuare una donazione, ma che si configura soprattutto come un ambito da valorizzare in chiave auto-imprenditoriale, realizzando vestiti e oggetti da vendere sul mercato locale tanzaniano. La stessa filosofia che ha ispirato – ne abbiamo parlato solo pochi giorni fa – il giardino terapeutico del Centro Antonia Verna – Kila Siku di Dar es Salaam, uno spazio coltivabile che, dopo una serie di training formativi su come creare un piccolo orto urbano in casa, permetterà ad alcune donne caregiver nel lungo periodo di sfruttare questa conoscenza e  nel breve periodo di poter coltivare il terreno del Centro Antonia Verna – Kila Siku tenendo per sé e per la propria famiglia i prodotti ottenuti.

Dalla riabilitazione alla sartoria, dalla malnutrizione alla cucina: settori diversi nei quali la potenza della formazione sa farsi sentire. In ogni ambito d’azione aumentare le competenze di tutti, degli operatori e degli insegnanti, dei sanitari e dei caregivers, significa creare le premesse per il rispetto dei diritti e della dignità di ogni persona. E significa favorire l’inclusione sociale e lavorativa, costruendo così un mondo più inclusivo. Questa è la filosofia che ci ispira. Perché sappiamo che, operando in questo modo, i semi piantati oggi non germoglieranno una sola volta, ma continueranno a farlo ancora in futuro.

Corpi Civili di Pace, i primi mesi di attività

Cinque mesi di Corpi Civili di Pace, cinque mesi con le attività oramai entrate nel vivo delle azioni previste dal progetto avviato in Tanzania nell’ottobre scorso e che impegnerà per un intero anno le quattro operatrici italiane presenti sul posto. In corso ci sono le azioni del progetto di coscientizzazione ai diritti negati delle persone con disabilità in Tanzania, che punta ad indagare la condizione di vita in cui versano le persone con disabilità nel territorio tanzaniano, promuovendo un’azione di monitoraggio del rispetto dei loro diritti e di piena promozione degli stessi a tutti i livelli.

Alessandra, Camilla, Giorgia e Prisca con questo progetto sono state chiamate a svolgere un ruolo di propulsione nell’incrementare il grado di consapevolezza collettiva dei diritti umani e civili delle persone con disabilità, anche attraverso la diffusione di informazioni e azioni di sensibilizzazione comunitaria.

Proprio nei giorni scorsi, dopo un lungo e accurato lavoro di preparazione, e dopo aver ottenuto le necessarie autorizzazioni secondo la normativa locale, è partita la somministrazione di un questionario che ha l’obiettivo di censire le persone con disabilità e l’attuale livello di consapevolezza e di rispetto dei loro diritti, in particolare nei quartieri periferici del Distretto di Kinondoni di Dar Es Salaam. L’indagine viene svolta nel quartiere di Kawe ma anche nelle zone di Mikocheni, Mbezi Juu e Bunju, oltre che all’interno del Centro A. Verna – Kila Siku, coinvolgendo i caregivers dei minori con disabilità seguiti: ad aiutare le quattro operatrici ci sono delle figure di riferimento del Centro stesso, che hanno accolto con entusiasmo l’idea di supportare l’implementazione dell’azione di ricerca.

Anche sul secondo versante del progetto, quello che prevede il supporto alla creazione di gruppi comunitari di persone con disabilità e di donne, i primi mesi di attività sono serviti per individuare i gruppi e creare un rapporto di conoscenza e fiducia con le mamme là presenti. Sia rispetto alle frequentanti del corso di cucito, sia di quanti hanno tempo fa seguito e concluso con successo il corso di creazione del sapone (attività presenti fra le caregivers del Centro A. Verna – Kila Siku), l’obiettivo è quello di offrire supporto per l’eventuale creazione di un gruppo di risparmio, orientamento e ricerca di lavoro: una formazione, quindi, anche sulla microimprenditorialità. 

Sono di grande importanza anche le azioni volte alla realizzazione di workshop e seminari per la coscientizzazione e l’azione collettiva, che possano coinvolgere un gran numero di persone. In collaborazione con il Dipartimento sociale del Centro A. Verna – Kila Siku si sta procedendo anche all’individuazione di specifici temi da proporre quotidianamente in situazioni informali, come durante il tempo nel quale i genitori attendono in fila, con i figli, l’inizio del turno di fisioterapia a loro riservato. Fra i temi chiave da proporre anche attraverso materiale informativo come brochure e booklet sono stati finora individuati anzitutto una panoramica generale sui diritti delle persone con disabilità (nient’affatto scontato è infatti che una persona sappia di essere titolare di diritti), e poi più in particolare l’aspetto sanitario per illustrare la possibilità di ottenere trattamenti specifici. Si progetta anche di veicolare informazioni relative ad un’attivazione diretta, come la messa a disposizione dei dati di contatto degli uffici a cui ci si può rivolgere per richiedere che un diritto venga attuato o per segnalare la violazione di un diritto o una violenza.

Grande attenzione è stata posta in questi primi mesi anche sulle attività di sensibilizzazione comunitaria, con l’avanzamento delle fasi di progettazione di un filmato sulla violazione dei diritti delle persone con disabilità nel Paese, la cui diffusione attraverso i media locali e i social media consentirà di allargare nella popolazione il grado di conoscenza e consapevolezza dei diritti singoli e comunitari. Alcuni referenti locali che hanno dato la loro disponibilità a comparire nel video, le cui riprese – dopo l’acquisizione delle relative autorizzazioni – cominceranno a breve.  Una volta ultimato, il video sarà proiettato in una pluralità di situazioni, ad iniziare dagli incontri di sensibilizzazione attuati all’interno delle scuole e dagli eventi ospitati dal Centro A. Verna – Kila Siku.

Dal reperimento dei dati sulla situazione esistente all’accompagnamento dei gruppi di donne e di persone con disabilità, passando per la fase di sensibilizzazione comunitaria, il progetto attuato nell’ambito dei Corpi Civili di Pace mira a far sì che il più possibile le persone con disabilità siano esse stesse protagoniste del processo decisionale e dell’azione di promozione collettiva, per favorire anche su vasta scala la loro piena integrazione nel sistema sociale tanzaniano. Un compito – lo abbiamo detto più volte – non semplice, ma certamente affascinante ed estremamente concreto, perché si tratta di impegnarsi attivamente per il rispetto e la piena integrazione delle persone con disabilità, con un miglioramento evidente della vita di ciascuno di loro.

Agosto in Africa con il campo di volontariato

E’ un modo diverso di passare l’estate, trascorrendo le prime due settimane di agosto – quelle tradizionalmente riservate alle vacanze – immersi in un’esperienza di volontariato in Africa: un’occasione per tuffarsi in un’avventura dai profondi contenuti umani ed emotivi, che porta con sé la bellezza dell’incontro e della conoscenza di un’altra cultura.

Torna nel 2024 il campo di volontariato estivo di Comunità Solidali nel Mondo, che si svolgerà in Tanzania dal 3 al 17 agosto: il luogo prescelto è la località di Ilunda, dove sorge il Centro orfani “Tumaini”, struttura nella quale vivono circa 50 bambini orfani, la metà sotto i 5 anni, l’altra metà in età da scuola elementare. Ci troviamo a 40 Km dalla città di Njombe, capoluogo dell’omonima regione della Tanzania sud-occidentale, ad oltre 700 Km dalla città di Dar es Salaam, principale centro economico del paese. I bambini del Centro Tumaini abitano, a gruppi di otto, in sette casette autonome, insieme alle tate che si prendono cura di loro: nello stesso complesso si trovano anche un asilo (al quale affluiscono non solo i bambini del Centro ma anche quelli del vicino villaggio di Ikelu, che dista appena 500 metri) e la Casa dei volontari che ospita i ragazzi e le ragazze italiani che svolgono in Tanzania il Servizio Civile Universale con Comunità Solidali nel Mondo. Proprio in questa Casa saranno ospitati anche i partecipanti al campo di volontariato estivo.

Durante i 14 giorni di permanenza a Ilunda si avrà la possibilità anzitutto di fare attività di animazione con i bimbi della casa di accoglienza, ma anche si verrà coinvolti negli incontri con i referenti della cultura locale, e si potrà dare il proprio contributo manuale e creativo nell’ambito di alcuni lavori di manutenzione e decoro della casa di accoglienza. Allo stesso modo, si potrà partecipare alla raccolta, sgranatura e conservazione del mais, attività che si svolgono proprio in quel periodo estivo.   

Naturalmente, i partecipanti al campo saranno adeguatamente accompagnati, prima e durante il periodo di permanenza, a vivere al meglio un’esperienza di impegno civile che certamente apre la mente e favorisce il dialogo, permette uno scambio culturale intercontinentale, può essere alla base di nuove amicizie ed è anche una buona occasione per imparare le prime parole di una lingua straniera, lo swahili, diffuso in gran parte dell’Africa orientale, centrale e meridionale. Il campo di volontariato estivo non è una vacanza, ma non mancheranno momenti di svago e di relax.

La quota di partecipazione è pari a 450 euro, comprensivi di vitto, alloggio e spostamenti interni in Tanzania. A questa cifra si dovrà aggiungere il costo del biglietto aereo di andata e ritorno dall’Italia a Dar es Salaam, oltre al visto di ingresso nel paese (pari a 50 dollari). Le date del campo – aperto a partecipanti di tutte le età – sono fisse, con partenza il 3 agosto e ritorno il 17 agosto. 

Se pensi che l’opportunità possa fare al caso tuo, CONTATTACI SUBITO: la richiesta non vincola all’effettiva partecipazione ma ci permette di conoscerci subito, di sciogliere eventuali dubbi e di organizzare al meglio tutti gli aspetti logistici.

Sappi che Comunità Solidali nel Mondo cura da tempo in Tanzania progetti di cooperazione allo sviluppo, impegnandosi nella realizzazione e nella messa a regime di centri di riabilitazione per minori e per giovani adulti con disabilità; ha inoltre attivo un programma per la creazione di un protocollo per la gestione dell’epilessia in tutto il Paese e agisce con azioni di contrasto alla malnutrizione e di sostegno alle donne tramite iniziative di autoimprenditorialità. Per questo ha sviluppato nel tempo una forte conoscenza del contesto e dei numerosi partner locali, agendo con il fine ultimo della valorizzazione e del protagonismo della comunità tanzaniana.

Se quindi coltivi da tempo il desiderio di vivere una bella esperienza in Africa, o se pur non avendoci mai pensato ritieni che in questo particolare momento possa essere per te un’opportunità significativa da cogliere, prova a liberare da ogni altro impegno di studio, di vita e di lavoro quelle due settimane di agosto e lanciati in questa avventura! SEGNALACI ORA il tuo interessamento, ti aspettiamo!

Un anno di SHINE in Tanzania

Un anno di attività concrete per trattare, gestire e sconfiggere la malnutrizione e l’epilessia nei bambini e nei giovani adulti con disabilità che incontriamo in Tanzania. Un anno in cui abbiamo vissuto la nascita e l’avvio di appositi ambulatori medici, con un’azione di formazione specifica in campo sanitario e nutrizionale e la costruzione di una campagna di comunicazione per sensibilizzare la società. Oltre al potenziamento dei percorsi formativi professionali per giovani adulti con disabilità e allo sviluppo di un rapporto diretto con le istituzioni governative tanzaniane per la realizzazione o la revisione dei protocolli ufficiali utilizzati per la diagnosi e cura dell’epilessia e malnutrizione. 

Con la conclusione della prima delle due annualità è giunto al giro di boa il Progetto SHINE (AID 012590/09/1), finanziato dall’AICS (Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo) con l’obiettivo di promuovere l’inclusione sociale delle persone con disabilità in Tanzania, attraverso il loro inserimento lavorativo, il miglioramento dell’accesso ai servizi sanitari, il potenziamento dei programmi di alimentazione e la loro piena partecipazione, come cittadini, alla vita delle proprie comunità. Proviamo a dare un’occhiata a quanto fatto finora nei vari ambiti di intervento.

Gestione e cura dell’epilessia a Mbeya e Ifakara

Funzionano ormai a pieno ritmo le due cliniche per la gestione e la cura dell’epilessia che sono state aperte grazie al progetto. Quella realizzata a Mbeya, all’interno del centro di salute di Iyunga RC, è entrata a regime a settembre 2023 dopo che nei mesi precedenti erano stati avviati e conclusi i lavori per la costruzione dell’edificio che oggi ospita 4 sale mediche, una reception, una sala d’attesa, una farmacia e una toilette. La presenza del macchinario per l’elettroencefalogramma (EEG), pressoché indisponibile in Tanzania, ha determinato fin da subito un elemento di attrazione, ulteriormente rafforzato a partire da novembre 2023 dall’avvio delle attività, nei locali adiacenti, della nuova struttura di riabilitazione Iyunga RC, che accoglie numerosi pazienti. Nei primissimi mesi di attività l’ambulatorio ha preso in carico circa 120 pazienti. Numeri importanti anche per la clinica di epilessia aperta presso l’ospedale SFRH di Ifakara, che ha avviato le sue attività già da marzo 2023, trattando nel primo semestre circa 300 pazienti, per tre quarti di età inferiore ai 15 anni. La fornitura diretta di farmaci (sia quelli basici sia quelli di nuova generazione) ha contribuito al successo delle attività, rafforzate anche (come a Mbeya) da attività di formazione rivolte ai caregivers per facilitare la gestione e la cura dei pazienti. Ognuno dei due centri è gestito da uno staff composto da un medical doctor, un clinical officer e un tecnico EEG: tutti hanno partecipato da gennaio ad agosto 2023 a un corso di formazione on line tenuto dalla dott.ssa Sofia Pia Di Noia, neuropsichiatra dell’età evolutiva (ritratta insieme ad un bimbo nella foto di apertura). Lei stessa aveva già svolto in precedenza una formazione specifica sul campo allo staff di Ifakara, attività che invece a Mbeya è stata attuata fra settembre e novembre 2023 dalla dott.ssa Maria Ausilia Musumeci, specializzanda in neuropsichiatria dell’età evolutiva all’Università La Sapienza di Roma.

Nel corso del 2023 è stata anche preparata una campagna di sensibilizzazione contro lo stigma da veicolare sui mass media nazionali e sui canali social più usati, con il fine di sensibilizzare la popolazione e promuovere percorsi terapeutici adeguati. Al momento, nel rispetto della normativa locale, i contenuti da trasmettere sono al vaglio del Ministero della Salute tanzaniano per la necessaria preventiva approvazione.

Lotta alla malnutrizione a Dar es Salaam e Mbeya

Anche sul versante della diagnosi e della cura della malnutrizione il progetto SHINE ha permesso l’avvio – fin dal gennaio 2023 – di due ambulatori dedicati, rispettivamente presso il Centro di Riabilitazione Simama di Mbeya e presso il Centro “Antonia Verna –  Kila Siku” di Dar es Salaam. In questo caso il personale (destinatario di specifiche sessioni formative) è composto da un clinical officer che si occupa della valutazione e della gestione clinica dei pazienti, da un community rehabilitation worker che lo supporta nelle misurazioni dei parametri e nella raccolta dei dati, da un social worker che valuta e monitora la condizione socio-economica dei nuclei familiari beneficiari e si rapporta con loro, da uno psicologo in affiancamento per i casi più complessi e da un segretario per la gestione degli appuntamenti e la distribuzione dei kit alimentari. I pazienti che accedono all’ambulatorio – principalmente si tratta di minori con disabilità e malnutrizione, con co-morbilità importanti – vengono sottoposti a cadenza periodica (quindicinale o mensile) alla misurazione di parametri nutrizionali, poi valutati in via generale e accompagnati al servizio di counseling parentale per i caregivers, ai quali, se necessario, viene fornito un kit nutrizionale che prevede latte in polvere o farina rinforzata e integratore vitaminico. A Dar es Salaam i minori sottoposti a screening sono stati oltre 560 (a 200 di essi è stato assegnato il kit con latte in polvere, a circa 340 il kit con farina), mentre a Mbeya fra marzo e dicembre gli screening complessivi sono stati quasi 600, con circa 170 minori inseriti nel programma malnutrizione. I pazienti vengono seguiti costantemente dopo il primo screening, in un percorso di follow up che continua anche dopo il raggiungimento del peso normale: la consulenza e l’accesso agli alimenti fortificati sono garantiti anche per i mesi successivi, al fine di consolidare i valori raggiunti. Vista la difficoltà delle famiglie, che si manifesta sovente, di recarsi al Centro, il personale partecipa anche ad attività di “outreach”, raggiungendo le abitazioni dei beneficiari più lontani o che versano in condizioni economiche particolarmente svantaggiate.

Grande interesse a Mbeya hanno suscitato i laboratori culinari indirizzati alle mamme e a tutti i caregiver: è stato insegnato loro come preparare cibi nutrienti utilizzando alimenti locali a basso costo e facilmente reperibili (mais, soia e verdure), come anche preparazioni a consistenza morbida per i casi di disfagia e altri rischi per la vita associati all’alimentazione. Ugualmente seguiti con interesse, sempre a Mbeya, sono stati i corsi pratici sulla dieta bilanciata e sulle misure di primo soccorso e salvataggio (Heimlich), come anche la formazione che ha coinvolto oltre 100 insegnanti di sei scuole locali sui temi della malnutrizione: ai docenti sono stati dati gli strumenti per identificare i bambini con malnutrizione e indirizzare le famiglie con un’adeguata consulenza. Simili iniziative formative sono state avviate anche a Dar a partire da febbraio 2024.

Percorsi professionali per giovani con disabilità

Un’altra importante attività di SHINE, attuata grazie all’azione del partner CEFA, ha riguardato il potenziamento dei percorsi formativi professionali per giovani adulti con disabilità a Dar es Salaam e Mbeya: in particolare è stato fornito supporto ai centri governativi VETA presenti nelle due località e dedicati proprio all’avviamento professionale dei giovani tanzaniani. La collaborazione con questi centri pubblici, pur nella complessità delle relazioni con gli organi statali, è una novità assoluta che presenta grandi potenzialità in termini di ampiezza degli interventi e numero dei beneficiari: in tal senso il primo anno di progetto ha consentito di gettare le basi per il futuro con alcuni interventi propedeutici all’accoglienza di nuovi studenti con disabilità. La formazione del corpo docente sui temi della disabilità, il coinvolgimento dello staff e degli attuali studenti in due giornate di sensibilizzazione, l’abbattimento delle barriere architettoniche in tre aule usate per il laboratorio di cucina (corso di panificazione e preparazione di alimenti), di saldatura e di sartoria, la realizzazione di un corso di formazione sull’educazione inclusiva con oltre 160 partecipanti, l’acquisto di 9 computer a Dar per una didattica digitale più inclusiva, sono tutti tasselli che hanno reso i due centri VETA maggiormente in grado di accogliere, fra i propri studenti, giovani con disabilità.

Al tempo stesso, SHINE ha fornito sostegno anche al Centro di formazione professionale di Yombo, specializzato proprio nella formazione professionale di giovani con disabilità (nell’anno scolastico 2023 è riuscito ad accogliere 104 studenti, 61 dei quali si sono diplomati a novembre 2023). Oltre ad  un piano di ristrutturazione edilizia dei locali, le azioni compiute hanno riguardato il supporto agli insegnanti per la trasmissione di nuove competenze trasversali (ad iniziare da quelle informatiche) e l’individuazione di due attività generatrici di reddito: la falegnameria (il progetto ha avviato la produzione di mobili da arredamento come scaffali, armadietti, tavoli e sedie) e la panetteria (il corso sarà avviato alla fine dei lavori di ristrutturazione dei locali). Nel 2024 partirà anche una mappatura dei centri professionali presenti sul territorio nazionale (oltre 900 istituti, sia pubblici che privati) che sfocerà in un’indagine sull’inclusività del sistema di formazione professionale in Tanzania.

I risvolti di SHINE a livello statale

Tutte le attività di SHINE mirano ad accrescere le competenze non solo degli operatori presenti nei singoli Centri, ma anche quelle dei loro colleghi che lavorano nelle altre zone della Tanzania. In tal senso, sta prendendo il via l’attività di formazione a cascata rivolta a 340 operatori sanitari di 10 diverse regioni della Tanzania, attuata proprio a partire dai training svoltisi durante il 2023. Ma, ad un livello ancor più ampio, SHINE mira anche ad accrescere le competenze delle amministrazioni pubbliche tanzaniane nella gestione sanitaria e sociale dei minori e dei giovani adulti con disabilità. In tal senso la redazione di protocolli sanitari e strategie che tutelino l’inclusione sociale e lavorativa è uno degli obiettivi principali.

L’attività di lobbying e promozione, iniziata con la stesura e la firma di un Memorandum of Understanding (MoU) tra ComSol Tanzania, Ministero della Salute ed enti regionali e locali, proseguirà nel corso del 2024 con la realizzazione di un documento che, partendo dai dati raccolti nelle strutture sanitarie di Mbeya, Dar e Ifakara, e con il supporto dell’Università di Ifakara SFUCHAS, presenterà una serie di raccomandazioni basate sulle best practices messe in atto nei due anni di progetto. Il tutto sarà poi presentato al Ministero della Salute e a diversi Stakeholders, con l’obiettivo che costituisca una base per l’estensione all’intero paese delle azioni intraprese.  

E la storia continua…

La molteplicità delle attività che abbiamo raccontato mette bene in evidenza, di SHINE, l’ambizioso obiettivo di promuovere sotto numerosi punti di vista l’inclusione sociale delle persone con disabilità in Tanzania: un progetto ormai entrato nella sua seconda fase che, grazie al finanziamento dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS), costituirà un importante volano per l’affermazione reale e concreta dei diritti di tutti.

Visione e azione: ecco il nostro 2024

La riabilitazione e lo sviluppo inclusivo, la formazione alla diagnosi e cura di epilessia e malnutrizione, il rafforzamento dei servizi sanitari tramite la costruzione di un ostello e la predisposizione di una palestra come punto di riferimento cittadino, la rinnovata spinta alla formazione specialistica per fornire gli strumenti per giungere alla piena autonomia delle strutture e dei centri. Il 2024 di Comunità Solidali nel Mondo rafforza l’impegno già intrapreso in Tanzania con i Programmi che anche quest’anno vengono arricchiti da nuove progettualità: un cammino reso possibile sia grazie al sostegno diretto degli enti finanziatori sia grazie a quello dei nostri donatori privati, che restano fondamentali in un’ottica di sostenibilità pluriennale. Il nuovo anno è così all’insegna della novità nella continuità, con un complesso di attività che si intersecano le une con le altre, disegnando un quadro ambizioso ma al tempo stesso fattibile.

Teatro delle attività sono le zone della Tanzania in cui già da tempo si concentrano le attività di ComSol: una strategia di intervento pluriennale su base comunitaria e di cooperazione finalizzata alla riabilitazione di bambini e giovani con disabilità motorie e cognitive, avviata dapprima nella regione di Njombe con sede a Wanging’ombe (Centro CBR INUKA), poi intrapresa anche nella Regione di Mbeya con sede nell’omonima città (più centri CBR SIMAMA) e infine attivata nella metropoli di Dar es Salaam (Centro Kila Siku – Antonia Verna). Interventi basati sulla “Riabilitazione  su Base Comunitaria – CBR” targato OMS e sullo “Sviluppo Inclusivo su Base Comunitaria – CBID”, un approccio multisettoriale che lavora per migliorare la parità di opportunità e l’inclusione sociale delle persone con disabilità, combattendo il ciclo perpetuo di povertà e disabilità.

Perché ancora la Tanzania? Nonostante i rilevanti passi compiuti negli ultimi tempi, la popolazione con disabilità rimane tra la più svantaggiata e marginalizzata del Paese, con tassi di disoccupazione altissimi e con forti limitazioni alle possibilità di accedere ai servizi primari, come la salute e l’istruzione. Per quanto il governo e gli operatori sanitari abbiano intrapreso molte iniziative per migliorare l’accesso all’assistenza sanitaria per le persone con disabilità nelle città e nelle aree rurali, queste rimangono ancora fortemente limitate nelle possibilità di accesso e fruizione dei servizi che dovrebbero essere loro garantiti. Né contribuiscono certamente a migliorare la situazione la mancanza di strutture sanitarie specializzate e l’assenza di operatori formati per i bisogni specifici delle persone con disabilità.

Le attività dei progetti, così, mirano a contribuire, in maniera strutturata, ad un effettivo miglioramento dei sistemi sanitari, garantendo la possibilità di accedere a cure specialistiche e mirate a gran parte della popolazione con disabilità locale, con particolare attenzione ai minori. In questo modo, i progetti contribuiranno anche al raggiungimento dell’Obiettivo Sostenibile 3 dell’Agenda 2030: “Garantire una vita sana e promuovere il benessere di tutti a tutte le età”.

Riabilitazione e sviluppo per minori con disabilità

L’obiettivo del progetto “Supporto ai minori con disabilità e parte del programma di Riabilitazione su base comunitaria (CCBR) a Mbeya e Dar es Salaam in Tanzania” – attuato con il finanziamento dell’Unione Buddhista Italiana – è quello di creare una rete di supporto inclusivo per i minori con disabilità e le loro famiglie nelle città di Mbeya e Dar es Salaam, tramite una serie di attività volte ad incrementare la qualità e la quantità dei servizi offerti presso i Centri di Riabilitazione di Inuka Programme di Mbeya e di Dar es Salaam e a facilitare l’accesso ai servizi riabilitativi e sanitari per le persone più marginalizzate del Distretto di Kinondoni a Dar es Salaam e della città di Mbeya.

Si prevede nello specifico di avviare una serie di corsi di formazione rivolti agli operatori sanitari dei Centri CBR, al fine di trasferire competenze specialistiche di diagnosi e trattamento della disabilità alle Community Based Rehabilitation Workers (CRWs). Parte delle attività formative sarà inoltre rivolta direttamente a genitori e caregivers dei minori con disabilità, anche per stimolare nelle madri di bambini con disabilità atteggiamenti proattivi. Allo stesso tempo, il progetto intende garantire il supporto e la promozione dello Sviluppo Inclusivo su Base Comunitaria – CBID, concentrandosi sul miglioramento della qualità della vita per le persone con disabilità e le loro famiglie, venendo incontro ai bisogni primari e garantendo l’inclusione e la partecipazione.

Avviato a gennaio 2024 per una durata di 12 mesi, il progetto prevede di avere un impatto sulla vita di 350 minori con disabilità assistiti presso i Centri CBR e su 150 caregivers (di cui circa l’80% donne), oltre al coinvolgimento diretto di 20 operatrici dei Centri CBR e indiretto di circa 10.000 persone delle comunità locali che beneficeranno delle attività di sensibilizzazione e promozione sociale.

Salute e benessere: a Kinondoni c’è una palestra per tutti

Si concentra sul distretto di Kinondoni a Dar es Salaam il progetto “Una palestra per tutti – Processi di educazione alla salute e all’inclusione”, attuato grazie al finanziamento dell’8 per mille della Chiesa Valdese.

L’obiettivo in questo caso è quello di promuovere l’accesso ai servizi sanitari e l’educazione alla salute, incrementare l’utenza e garantire la sostenibilità del Centro attrezzando la palestra affinché possa diventare un Centro di aggregazione in tema di salute e benessere per la popolazione locale.

Tramite l’acquisto di attrezzature specifiche per la riabilitazione e l’attività fisica adattata, la palestra del Centro “Antonia Verna” sarà resa fruibile anche a quanti richiedono attenzioni ed attrezzature particolari per attività di riabilitazione o per il recupero motorio, con relativa individuazione dei soggetti idonei a fruire le cure. La palestra darà inoltre alla popolazione locale la possibilità di usufruire di un luogo di aggregazione che oltre a servizi di riabilitazione e attività fisica adattata possa ospitare eventi ed attività di promozione della salute, del benessere psico-fisico e dell’inclusione sociale delle persone con disabilità.

Avviato a gennaio 2024 per complessivi 12 mesi, il progetto prevede di coinvolgere 50 persone fra utenti della palestra e partecipanti ai corsi di formazione tra i 18 e i 60 anni, oltre all’inserimento in percorsi di inclusione di 200 bambine e ragazze con disabilità. L’intera popolazione del Distretto beneficerà delle attività di sensibilizzazione e promozione, così come i familiari dei pazienti, i caregivers, gli utenti e il personale del Centro troveranno un sistema di accoglienza migliorato e reso ancor più ricco dai servizi di promozione e sensibilizzazione.

Una casa che accoglie: un ostello per Iyunga

È concentrato nella regione di Mbeya, invece, il progetto “Casa che accoglie – Accesso a sistemi sanitari di qualità in Tanzania”: attuato con il finanziamento della Provincia Autonoma di Bolzano, in partenariato con Gondwana – Bewusstsein und Solidarität, punta a favorire l’accesso ai servizi sanitari e riabilitativi e prevede in particolare la costruzione di un ostello presso il Centro di Iyunga, nella zona sud di Mbeya. La struttura servirà per rispondere alla necessità di fornire un alloggio per familiari e caregivers di minori con disabilità residenti nelle periferie o nell’area rurale della città, ospitandoli in strutture adeguate a fornire lo spazio e i servizi necessari all’accompagnamento del minore. L’ostello, al tempo stesso, garantirà anche la possibilità di ospitare personale sanitario esperto proveniente dall’estero (compresi volontari italiani professionisti fra medici, fisioterapisti e altri operatori sanitari) o giunti da altre regioni della Tanzania, per fornire il supporto necessario al normale funzionamento del Centro Simama e alle attività di formazione specifica.

Oggi il Programma Simama CBR è il riferimento per oltre 5.500 persone con disabilità del territorio di Mbeya: attualmente si contano tre diversi centri socio-riabilitativi (a Iyunga, Simike ed Uyole) nei quali 450 bambini con disabilità ricevono terapie motorie, cognitive e logopediche, anche attraverso l’utilizzo di ausili riabilitativi e con un approccio basato sulla metodologia della Riabilitazione su Base Comunitaria. L’ostello nascerà a Iyunga, il quartiere di Mbeya ubicato nella periferia Sud della città, che conta più di 20.000 abitanti.

Oltre all’ostello (per la cui costruzione si stima un periodo di 8 mesi), il progetto prevede inoltre la realizzazione di una serie di corsi di formazione e aggiornamento per gli operatori sanitari e i Community Rehabilitation Workers (CRWs) operanti presso lo stesso Centro SIMAMA di Iyunga, favorendo l’aumento della qualità dei servizi offerti e garantendo il continuo aggiornamento e formazione del personale. Verranno inoltre promosse delle giornate formative in favore dei familiari e caregivers dei minori accolti presso i Centri, col fine di incrementare le loro competenze in materia di gestione della disabilità e riabilitazione. 

Nel corso del progetto, che durerà durante tutto l’arco del 2024, si prevede il coinvolgimento di almeno 150 minori con disabilità, 100 familiari/caregivers, 21 fra operatori sanitari e CRWs, oltre ad almeno 20 volontari professionisti in tema di salute e riabilitazione. In tutti i casi, si tratterà soprattutto di donne e bambine. Con la costruzione dell’ostello di Iyunga miriamo a replicare il successo del progetto “Casa Aperta”, finanziato dalla Provincia Autonoma di Bolzano per l’anno 2019-2020, che ha permesso la costruzione di un ostello presso il Centro di riabilitazione Kila Siku di Dar es Salaam.

Diagnosi e cura dell’epilessia, atto secondo

Proseguono a pieno ritmo anche altri due progetti già avviati lo scorso anno. Il primo è “Beati i misericordiosi – Heri walio na huruma”, attuato con finanziamento della Conferenza Episcopale Italiana attraverso i fondi dell’otto per mille alla Chiesa Cattolica, grazie al quale sono stati avviati due ambulatori per la diagnosi e cura dell’epilessia al centro Simama di Mbeya e all’ospedale St. Francis di Ifakara, che già nei primi mesi di vita si sono dimostrati un servizio fondamentale per la comunità locale. Attività accompagnate da un lato con un’attività formativa rivolta a dirigenti medici per l’acquisizione di protocolli e metodologie utili alla diagnosi e alla cura, e dall’altro da una campagna di sensibilizzazione per un’informazione corretta sulla malattia e lotta contro lo stigma. L’obiettivo finale, infatti, è di consentire al personale dei due centri di acquisire piena autonomia nella diagnosi e nella gestione dei pazienti accolti. Il progetto è in corso anche a Dar es Salaam, con attività incentrate sul contrasto alla malnutrizione.

Salute, inclusione, alimentazione, occupazione: tutto in “Shine” 

Il secondo progetto è SHINE, attuato con il finanziamento dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS), che già nel 2023 ha messo in campo una molteplicità di attività con l’obiettivo di promuovere l’inclusione sociale delle persone con disabilità in Tanzania, attraverso il loro inserimento lavorativo, il miglioramento dell’accesso ai servizi sanitari, il potenziamento dei programmi di alimentazione e la loro piena partecipazione, come cittadini, alla vita delle proprie comunità.

Le attività hanno riguardato il potenziamento degli ambulatori per la cura dell’epilessia a Mbeya e a Ifataka e il rafforzamento dello screening sanitario per la malnutrizione nei centri di Mbeya e Dar es Salaam con supporto nutrizionale intensivo (farine e altri preparati). Si sono compiute azioni di formazione per i caregiver sui temi della malnutrizione e dell’epilessia, con una formazione alla diagnosi e cura dell’epilessia che ha riguardato dapprima 20 dirigenti medici provenienti da 10 diverse regioni della Tanzania, che a loro volta, a cascata, hanno riportato le conoscenze nei territori di origine ad altri 320 fra medici e operatori sanitari. E la campagna di sensibilizzazione contro lo stigma in riferimento a epilessia e disabilità ha punta a coinvolgere almeno due milioni di cittadini tanzaniani.

Sono in corso le attività che prevedono la diffusione alle Istituzioni governative dei protocolli e dei modelli di diagnosi e cura di epilessia e malnutrizione, in modo da ampliare l’impatto concreto all’intero Paese. Così come vi è una serie di attività legate all’inclusione lavorativa di giovani e adulti con disabilità con l’attuazione di interventi pilota volti a migliorare l’accessibilità al sistema di formazione professionale a Dar es Salaam e Mbeya per le persone con disabilità. Il tutto insieme ai partner CEFA (Comitato Europeo per la Formazione e l’Agricoltura), VETA (l’autorità governativa tanzaniana responsabile per la formazione professionale) e al Centro formativo Yombo, specializzato nella formazione professionale di soli ragazzi con disabilità. L’azione mira a formare gli insegnanti per una maggiore inclusione nel sistema educativo, a personalizzare i corsi di formazione professionale e a prevedere un servizio di avviamento alla carriera, specifico per ogni studente con disabilità, offrendo corsi di orientamento al lavoro e un periodo di apprendistato in azienda.

Un sostegno per promuovere il benessere di tutti

È grazie al sostegno di tutti i nostri donatori, insieme agli enti che hanno scelto di finanziare specifici progetti, che tutto ciò è diventato e diventerà possibile. Contribuisci anche tu a rafforzare e a dare continuità e stabilità alle nostre iniziative: DONA ORA. Con il tuo aiuto sarà possibile incontrare e sostenere sempre più cittadini e cittadine tanzaniane, cooperando insieme per promuovere davvero il benessere di tutti.

Servizio Civile, traguardo vicino: vieni con noi in Tanzania

I tempi sono ormai maturi, è arrivato il momento di decidere e scegliere se e dove candidarsi per un posto nella grande famiglia del Servizio Civile Universale: per 16 fra ragazze e ragazzi di età compresa fra i 18 e i 28 anni si apriranno, insieme a Comunità Solidali nel Mondo e Focsiv, le porte della Tanzania per un’esperienza di un anno in terra d’Africa. Il bando, come noto, scadrà alle ore 14:00 del 22 febbraio 2024. La scaletta di marcia prevede che le selezioni siano svolte nel corso del mese di marzo, mentre l’avvio del Servizio, e quindi l’inizio dei 12 mesi di SCU, è previsto per il 27 giugno 2024.

Chi è interessato ha già potuto trovare tutte le informazioni più importanti sul Servizio Civile Universale nella nostra pagina dedicata, comprese le schede riassuntive dei due progetti disponibili, ciascuno dei quali coinvolgerà otto volontari. Quale che siano le scelte finali, è opportuno ricordare che ci sono alcuni denominatori comuni che caratterizzano sempre l’esperienza con Comunità Solidali nel Mondo.

Alla base di tutto: l’approccio, il rispetto, il confronto

In primo luogo le attività si basano tutte su una strategia di sviluppo della comunità locale, in cui viene perseguita l’uguaglianza delle opportunità e l’integrazione sociale di tutte le persone con disabilità, sia nel campo della riabilitazione, sia nel campo dell’inclusione lavorativa, sociale e comunitaria. Parliamo di CBID, ovvero di “sviluppo comunitario inclusivo”, e di metodologia CBR (riabilitazione su base comunitaria). Per saperne di più sulla CBR vedi qui).

In secondo luogo, l’interazione con i partner locali e con la comunità tutta comporta sempre il rispetto della cultura tanzaniana. I volontari, che faranno esperienza viva e diretta della capacità di accoglienza della popolazione locale, saranno chiamati a vivere in un atteggiamento di ascolto e di osservazione senza giudizio: avranno un vestiario adeguato al contesto, non dovranno fumare e bere in pubblico, ma soprattutto saranno chiamati ad imparare le basi della lingua swahili, il primo e più importante veicolo comunicativo per entrare in relazione con i bambini e con gli adulti. Frequentare il corso di lingua sarà la loro principale attività nei primi giorni del loro servizio. Il rispetto si deve estendere anche alla spiccata sensibilità religiosa del popolo tanzaniano, caratterizzato da una compresenza di religioni, con una forte collaborazione e cooperazione fra i credenti delle diverse fedi.

In terzo luogo, il rapporto con l’Italia, che rimarrà forte e costante con uno scambio continuo e proficuo. La percezione della dimensione associativa di ComSol sarà sollecitata non solo grazie alla presenza delle referenti sul posto (le OLP, operatori locali di progetto), ma anche dai continui contatti e confronti con la sede ComSol di Roma (ivi comprese le due missioni annuali, ciascuna della durata di 15 giorni, in terra di Tanzania).

Viaggio in Tanzania

Ricordando che nella pagina dedicata è possibile trovare anche una serie di testimonianze di ragazze e di ragazzi che hanno svolto il Servizio Civile negli anni passati e che inoltre alcuni di essi hanno voluto scrivere e lasciarci delle lettere rivolte proprio ai futuri volontari che li seguiranno nel percorso straordinario che è il Servizio Civile Universale all’estero, ripercorriamo orai insieme ancora una volta le strade della Tanzania, per evidenziare meglio le diverse opportunità offerte da ComSol nel Bando SCU attualmente aperto.

La porta d’ingresso internazionale della Tanzania è l’aeroporto internazionale di Dar es Salaam, la capitale economica del paese: qui, provenienti dall’Italia, atterreranno tutti i 16 volontari, ma solo 4 di essi svolgeranno il loro servizio proprio nella metropoli affacciata sull’Oceano Indiano. Il quartier generale, per loro, sarà il Centro Riabilitazione “Antonia Verna – Kila Siku”, struttura situata nel popoloso quartiere periferico di Kawe e che è diventata nel tempo un punto di riferimento per la popolazione, in particolare per i bambini con disabilità e le loro famiglie. La lotta contro la loro esclusione sociale parte dalla riabilitazione medico-sanitaria (condotta anche attraverso centri satellite sparsi sul territorio e tramite visite domiciliari indirizzate a bambini e bambine impossibilitati a recarsi nei vari centri), per poi abbracciare anche la promozione di servizi educativi per i piccoli e per i giovani, la formazione alle loro famiglie e all’intera comunità relativamente al processo riabilitativo, l’accompagnamento e il supporto in modo particolare alle madri (anche con iniziative di empowernment femminile), gli screening per il contrasto alla malnutrizione, le attività di cura e gestione dell’epilessia, ecc. Tutte iniziative a cui i volontari civilisti parteciperanno durante l’anno di Servizio Civile sempre affiancando lo staff locale.

I 4 civilisti che saranno invece selezionati per la sede di Mbeya dovranno percorrere, una volta atterrati a Dar es Salaam, altri 820 chilometri prima di raggiungere la sede del loro servizio nella parte occidentale del paese (e non più sul mare ma in un contesto montuoso, l’altitudine è di 1.700 metri): come i loro colleghi di Dar es Salaam, anch’essi saranno coinvolti nel progetto denominato “Caschi Bianchi per l’inclusione delle persone con disabilità in Tanzania – 2024”. Qui le attività – sostanzialmente speculari a quelle di Dar – ruotano intorno alle attività del Programma Simama CBR, che con i suoi Centri di riabilitazione è un punto di riferimento a supporto di bambini con disabilità e loro famiglie attraverso la riabilitazione motoria e cognitiva, l’inclusione scolastica, il supporto psicologico, la formazione sulla disabilità, la cura dell’epilessia. E’ in uno di questi centri, quello di Iyunga, che i civilisti avranno il loro quartier generale: qui vivranno la loro esperienza a contatto quotidiano con le comunità locali, integrandosi pienamente in esse.

Svolgere il proprio servizio a Dar es Salaam o a Mbeya significa vivere una straordinaria varietà di esperienze, affrontare una pluralità di situazioni e portare il proprio contributo in molteplici ambiti. Centrale sarà la conoscenza dei bambini con disabilità che frequentano periodicamente i Centri di riabilitazione, o che vi soggiornano continuativamente per un certo periodo di tempo, con i quali si instaureranno relazioni significative. Costante sarà il rapporto con le famiglie e i caregivers, in particolare le madri, veri e propri pilastri della piramide sociale tanzaniana. Ma un forte impatto, anche emotivo, avranno le attività volte a garantire assistenza anche a quei bambini e a quei giovani che per vari motivi, da quelli logistici a quelli economici, non possono recarsi presso i Centri di riabilitazione, e che saranno raggiunti dallo staff direttamente nelle proprie case (per Simama) o nei centri satellite ubicati nei quartieri più lontani di Dar (per Kila Siku). 

I civilisti, partecipando attivamente a queste attività “in trasferta” a supporto del personale socio-sanitario, e a servizio delle famiglie più deboli, potranno imbattersi in tante significative esperienze, entrando realmente a contatto con la quotidianità (anche domestica) della vita tanzaniana. Da non tralasciare poi tutte le relazioni umane legate all’attività di supporto alle varie progettualità che vengono realizzate a Dar e Mbeya: fra di essi, a titolo di esempio, i corsi di sartoria, la formazione per il contrasto alla malnutrizione, la campagna informativa per la gestione dell’epilessia, i rapporti con le associazioni e le istituzioni locali, ecc. Vivere il proprio anno di SCU a Dar o a Mbeya significa andare incontro ad una grande ricchezza umana e professionale, dove realmente si può sperimentare la bontà, la validità e l’utilità del proprio servizio. Avendo anche la possibilità, nel proprio tempo libero, di poter – almeno in parte – “esplorare” la vita cittadina e godere delle bellezze dell’ambiente naturale.

Gli altri 8 civilisti svolgeranno invece il loro servizio nella regione di Njombe, 150 – 200 chilometri ad est di Mbeya. Qui – con il secondo progetto “Caschi Bianchi per il sostegno all’inclusione degli orfani in Tanzania – 2024” – abbandoniamo completamente il contesto cittadino per immergerci in più piccole cittadine o in veri e propri villaggi. Due volontari sono destinati a Ilunda (che dista 40 Km dalla città che dà il nome all’intera regione, Njombe), dove si trova il Centro Orfani Tumaini, nel quale vivono circa 50 bambini orfani, la metà sotto i 5 anni, l’altra metà in età da scuola elementare. I bimbi abitano, a gruppi di otto, in sette casette autonome, insieme alle tate che se ne prendono cura. All’interno del complesso – in cui si trova anche la Casa dei volontari che ospiterà i civilisti – è presente un asilo al quale affluiscono non solo i bambini del Centro ma anche quelli del vicino villaggio di Ikelu, che dista appena 500 metri.

Proprio a Ikelu sono destinati altri 4 civilisti, a supporto delle attività dell’ospedale St Joseph, in particolare nei reparti dedicati ai bambini ustionati (il diffuso utilizzo casalingo di cucinini per riscaldare l’ambiente domestico provoca molti incidenti e rende necessario ogni anno il ricovero di circa 50 bambini) e nel reparto di neonatologia che ospita – unico in tutta la regione – i bambini prematuri e patologici. Preziosa l’opera dei civilisti nell’animazione e nel tutoraggio dei bambini più grandi che rimangono ricoverati a lungo, come pure nel sostegno alle mamme e alle famiglie dei piccoli pazienti ricoverati. I 4 volontari di Ikelu saranno ospitati nella vicina Casa dei volontari di Ilunda, condividendo dunque gli spazi con i 2 civilisti assegnati a Ilunda. Infine, gli ultimi due civilisti sono destinati a Ilembula, località a circa 30 chilometri da Ilunda e Ikelu, dove il Centro orfani “Renato Grandi” ospita 100 bambini che frequentano anch’essi l’asilo o la scuola adatta alla loro età (è presente anche una scuola riservata a bambini con disabilità): con tutti questi bimbi i civilisti sono chiamati a svolgere attività di supporto e animazione.

Per ogni dubbio dovesse sorgere su qualsiasi aspetto del Servizio Civile, o per avere un confronto con noi, contattaci tramite questo form. Ricorda che per candidarti dovrai presentare la tua domanda online nella specifica area della piattaforma DOL destinata alle domande di Servizio Civile, a cui è possibile accedere solo tramite SPID o con le credenziali fornite dal Dipartimento in caso di cittadini UE o extra UE regolarmente soggiornante in Italia”.

La grande avventura del Servizio Civile Universale è ora davvero a portata di mano. Non lasciartela sfuggire! Prenditi l’opportunità di vivere un’esperienza che ti permette davvero di dare qualcosa di te agli altri. Comunità Solidali nel Mondo, il Servizio Civile e la Tanzania ti aspettano!

La forza della sartoria: “Più liberi e indipendenti”

I loro sono volti grati e sorridenti: parlano con serenità e un po’ di emozione. Certo, nei tratti del viso si percepisce distintamente una fatica profonda, data dalle difficoltà e dai pesi che la vita ha messo loro di fronte. Ma lo sguardo è tutto rivolto al presente e al futuro, con un’inclinazione di speranza e di fiducia. Uno stato d’animo che, là in Tanzania dove vivono, oggi li accomuna entrambi.

Il primo è un uomo, il papà di Paulina, una bimba di sette anni che al centro di Iyunga svolge settimanalmente gli esercizi di riabilitazione necessari per migliorare la propria condizione clinica. La seconda è una donna, la mamma di Tavian, bimbo che ha una grave forma di disabilità con epilessia e malnutrizione associata e che due volte a settimana svolge anch’egli gli esercizi di riabilitazione al centro Simama di Mbeya. Entrambi i piccoli hanno trovato nei Centri Simama – il programma attivo dal 2013 che ha come obiettivo quello di supportare bambini con disabilità e loro famiglie attraverso la riabilitazione motoria e cognitiva, l’inclusione scolastica, il supporto psicologico e la formazione sulla disabilità – un punto di riferimento importante per la loro vita. Ma da qualche tempo anche i loro genitori (insieme a quelli di alcuni degli altri bimbi del Centro) hanno intrapreso una strada nuova che sta dando loro l’opportunità di mettere a frutto i loro talenti e le loro capacità.

Anni fa alcune persone che abitano nel mio stesso quartiere – ci dice Baba Paulina – mi hanno suggerito il Centro di Iyunga per la riabilitazione di mia figlia: ho seguito il loro consiglio e mi sono trovato molto bene. Solo successivamente ho scoperto l’esistenza di un progetto sul cucito e l’artigianato. Non avrei mai pensato di fare questa esperienza ma il Dipartimento sociale e le operatrici del centro, valutando la mia situazione familiare, mi hanno fatto la proposta di partecipare, dandomi una bellissima opportunità. Così ho frequentato i training formativi per imparare a cucire, sentendomi accolto come in una famiglia. Venire al Centro ora è ancor più motivante e stimolante”.

L’idea di fondo è semplice: permettere ad un gruppo di genitori di continuare a seguire i loro figli nell’attività di riabilitazione che svolgono nei Centri Simama ma al contempo dare loro l’occasione – con un corso di sartoria – di acquisire una competenza che non avevano, di modo che, mettendola a frutto, possano accrescere le possibilità di crearsi un lavoro e, vendendo i prodotti da loro stessi realizzati, avere anche un proprio reddito, con il quale poter sostenere economicamente l’intera famiglia. “Oggi i guadagni sono ancora bassi – dice Baba Paulina – ma con la formatrice del progetto stiamo lavorando per migliorare i nostri prodotti e riuscire a venderli nelle realtà locali”.

Questi adulti sono persone che imparano a cucire le stoffe e ad acquisire col tempo autonomia e sicurezza, fino a poter immaginare un percorso personale con un risvolto anche imprenditoriale. “Quando tre anni fa – dice Mama Tavian – mi hanno consigliato di rivolgermi ai Centri Simama per mio figlio che aveva bisogno di un’assistenza a lungo termine, mi aspettavo di ricevere un’assistenza comune come negli altri ospedali, ma qui lo staff mi ha accolto e fatto sentire subito in famiglia, e non un numero. Quest’anno le operatrici mi hanno parlato del progetto del cucito: non potevo crederci, nessuno mai mi aveva dato un’opportunità. Grazie a Simama mi sento meno sola perché sento di essere parte di una comunità. Ora mi sento più libera e indipendente“. 

Fra gli oggetti realizzati da mamme e papà dei Centri Simama ci sono abiti, vestiti, gonne, camicette, magliette maschili, pantaloni ma anche borse, zainetti, cappelli, astucci, porta laptop e porta documenti. Oltre ad agende, quaderni, borse, portamonete, elastici, sacchettini, portachiavi e grembiuli. Tramite questi oggetti – e grazie alla formazione sul cucito che sta alla base della loro realizzazione – le mamme e i papà che partecipano al gruppo di lavoro si sentono più liberi e indipendenti. Un grande risultato a livello di cooperazione.

Anche a distanza, ognuno di noi può aiutare nella realizzazione di questo progetto, contribuendo alla sua buona riuscita: gli oggetti infatti sono disponibili nella nostra pagina dedicata all’Artigianato Solidale. Alcuni di essi sono adatti anche al confezionamento di bomboniere da distribuire in occasione di matrimoni, battesimi e ogni altro momento importante della vostra vita personale e familiare. Per tutte le informazioni o per ordinare subito i prodotti dell’artigianato solidale potete inviare una richiesta tramite il form o inviare una email all’indirizzo solidarieta@solidalinelmondo.org. Sarete ricontattati al più presto per ricevere tutti i dettagli utili alla vostra richiesta, comprese disponibilità, tempistiche e indicazioni operative. 

Grazie per il vostro supporto e ricordate: poiché l’artigianato solidale è un modo per sostenere l’azione e i progetti di Comunità Solidali nel Mondo, l’importo della donazione relativa agli oggetti scelti sarà fiscalmente detraibile in caso di pagamento con strumenti tracciabili. Un piccolo vantaggio in più per chi sceglie di aiutare, contribuendo a far sì che donne e uomini impegnati nel progetto sartoria possano sentirsi più liberi e indipendenti.

Incontri da un viaggio: l’importanza di esserci

Ci sono tante cose belle nel fare cooperazione internazionale, ma ce n’è una in particolare che allarga il cuore: è quella di stare con le persone, di vivere con la gente, di stabilire cioè un rapporto con le comunità nel cui territorio i nostri progetti nascono e si sviluppano. E’ un’attività fatta con le comunità locali ed insieme ad esse, nel rispetto del contesto, della lingua locale, delle radici culturali e religiose: un metodo di lavoro fondato dunque sulla collaborazione, che chiama in causa naturalmente anche le istituzioni civili e religiose. Perché cooperazione – lo abbiamo rimarcato durante la nostra iniziativa “Chukuana”– è “sostenersi reciprocamente”, ed è questa cooperazione tra i popoli ad essere alla base dello sviluppo.

Noi ci siamo: una presenza continua

E’ per questo motivo che, oltre alla stabile presenza in Tanzania dei propri cooperanti (in questo momento ci sono Kitula, Valentina, Elisa) e oltre alla presenza dei giovani che vivono per un anno l’esperienza del Servizio Civile Universale all’estero (in queste settimane c’è un bando aperto per 16 volontari) e dei Corpi Civili di Pace (è in corso l’anno di Alessandra, Camilla, Giorgia e Prisca), una delegazione di Comunità Solidali nel Mondo si reca, dall’Italia, per due volte l’anno in Tanzania, trascorrendovi in totale oltre un mese: periodo durante il quale è possibile rafforzare le relazioni già avviate e intraprenderne di nuove.

Un nuovo vescovo: c’è festa a Njombe

E’ accaduto così anche per uno dei nostri partner storici, la diocesi di Njombe, che proprio nei giorni scorsi ha vissuto un giorno di festa in occasione dell’insediamento del nuovo vescovo cattolico, Eusebio Samwel Kyando. Quello della diocesi è un territorio, situato nella parte sud-occidentale della Tanzania, popolato da circa 800 mila abitanti, un terzo dei quali di fede cattolica. E fra le tante località comprende anche Wanging’ombe, il luogo da cui – per noi di Comunità Solidali nel Mondo – tutto è partito, essendo iniziato proprio lì il nostro primo impegno in Tanzania.

Ebbene, dopo oltre due anni di sede vacante (successiva alla morte del vescovo Maluma), papa Francesco ha chiamato alla guida della diocesi Padre Eusebio Kyando, che proprio a Njombe è nato quasi 60 anni fa e che già nell’ultimo biennio era stato incaricato di ricoprire il ruolo di rappresentante dell’Amministratore Apostolico che reggeva temporaneamente la diocesi in attesa di un nuovo vescovo. Domenica 14 gennaio 2024, giorno del suo insediamento ufficiale, si è respirata un’atmosfera di festa in città, con danze e balli tradizionali che hanno accompagnato la solenne liturgia che ha segnato il suo ingresso in diocesi.

“Aiutiamo le persone ad uscire dalla povertà”

Lo avevamo incontrato, qualche settimana fa, proprio in occasione di una delle nostre periodiche missioni in Tanzania: in quella circostanza, al nostro presidente Michelangelo Chiurchiù aveva raccontato i suoi intendimenti per il prossimo futuro. “La mia prima preoccupazione – aveva detto – è di tipo pastorale: dobbiamo avere delle parrocchie che siano più vicine alle persone, così che esse possano ricevere e vivere il Vangelo.” Ma aveva rimarcato – “per poter ricevere la Buona Novella le persone devono essere nella condizione di farlo e per questo il secondo pensiero va alle attività di carattere sociale, delle quali abbiamo grande bisogno e che già il nostro precedente vescovo aveva contribuito a rafforzare. Occorre lavorare ancora per il potenziamento di queste attività capaci di dare autonomia alle persone, e penso soprattutto alle donne che nel contesto africano devono impegnarsi duramente per il proprio sostentamento e per quello delle proprie famiglie”. Ancora, diceva il Vescovo Eusebio Kyando, “abbiamo bisogno di proseguire il lavoro nel campo dell’educazione, assicurandoci di fornire, attraverso le nostre scuole, una buona istruzione ai nostri bambini provenienti da famiglie povere, e di salvaguardare l’attività di riabilitazione sanitaria portata avanti dall’ospedale che in modo accurato porta aiuto a tanti bambini con disabilità con un’attività che viene supportata anche dall’Italia, un sostegno per il quale sono molto grato. La nostra” – aveva concluso il Vescovo – “è davvero una Chiesa dei poveri, ma il nostro compito è anche quello di aiutare le persone ad uscire dalla povertà, sostenendole nei diversi modi possibili, tutti insieme. Il nostro impegno in tal senso è assicurato”.

Lezione di fraternità

L’ultimo viaggio in Tanzania – fra le tante altre cose – ci ha permesso anche di vivere un’altra situazione singolare in cui ancora una volta a risaltare è stato l’approccio di apertura tipico della cultura africana. E’ accaduto quando il nostro presidente ha ricevuto l’invito dal Rettore dell’Università Cattolica Saint Francis (SFUCHAS) di Ifakara a partecipare alla Graduation, cioè alla cerimonia di proclamazione della laurea dei giovani dell’Università. Per noi un riconoscimento d’onore a suggello di una collaborazione tra Comunità Solidali nel Mondo e l’Università Saint Francis che dura da anni e che si è tradotta nell’attività di formazione che i professori della SFUCHAS stanno promuovendo in dieci regioni, rivolta ad oltre 300 medici e operatori sanitari sul tema della diagnosi e cura dell’epilessia.

Caratterizzato da rituali solenni, il cerimoniale assomiglia molto a quello che avviene nelle superbe e severe Università inglesi: toghe, processioni, discorsi ufficiali… e infine festa! Una cosa in particolare ci ha colpito. Tutti gli interventi delle autorità presenti – dal Rettore ai Vescovi – sono iniziate con delle formule di saluto a cui tutti hanno subito risposto coralmente:

– Tumsifu Yesu Kristu. (Sia lodato Gesù Cristo)
– Milele Amina. (Sempre sia lodato).
E’ il convenzionale saluto che si rivolgono tra loro gli appartenenti alla comunità cattolica.

– Bwana Yesu Asifiwe. (Sia lodato il Signore Gesù)
– Amina. (Amen)
E’ Il saluto che si scambiano i luterani.

– As-Salam Alaikum. (Che la pace sia su di te)
– Wa-Alaikum as-Salam. (E su di te sia la pace)
Il saluto che si scambiano i musulmani.

Niente di più naturale, niente di più semplice: e il tutto in un evento ufficiale dell’Università Cattolica, alla presenza perfino del Vescovo della diocesi di Ifakara e del vescovo rappresentante della Conferenza Episcopale tanzaniana!

E’ il segno evidente che prima di un’appartenenza religiosa stretta, il cittadino tanzaniano sa di essere legato ad altri fratelli ed altre sorelle che hanno altre fedi. Il messaggio, una volta di più, è rivolto alla nostra vecchia Europa appesantita ancora da incomprensibili e anacronistici steccati. C’è davvero – crediamo – ancora molto da imparare dalla cultura africana. 

La vera cooperazione allo sviluppo

Questi incontri, e i moltissimi altri che viviamo in occasione dei nostri viaggi in Tanzania, ci confermano nella bontà della strada di una cooperazione internazionale incentrata sull’incontro e sulla relazione, per fare in modo che davvero le comunità locali siano protagoniste del loro proprio sviluppo e possano esprimere pienamente nei fatti la loro esigenza di autonomia e autodeterminazione. Solidarietà e collaborazione tra i popoli sono i pilastri di una vera cooperazione allo sviluppo: questo è sempre stato il nostro impegno, questo continua ad essere anche oggi. 

É tempo di Servizio Civile: bando aperto per 16 volontari

É tempo di iniziare una nuova avventura, entrando a far parte della grande famiglia del Servizio Civile Universale. Sedici ragazze o ragazzi, di età compresa fra i 18 e i 28 anni, potranno vivere con Comunità Solidali nel Mondo l’esperienza di un anno di servizio da svolgere in Tanzania, dove sono cinque le sedi possibili. Le attività in cui si verrà coinvolti – ognuna naturalmente con una sua propria specificità – hanno a che fare con l’inclusione sociale e scolastica di minori con disabilità o di minori orfani, in raccordo con le strutture riabilitative o di accoglienza che si occupano di loro e in un’ottica di generale coinvolgimento dell’intera comunità locale. Per candidarsi occorre presentare apposita domanda entro le ore 14:00 del 22 febbraio 2024, data di scadenza del bando.

I 16 posti disponibili con ComSol sono inseriti nel bando emanato dal Dipartimento per le Politiche giovanili e il Servizio civile Universale, che mira ad avviare al servizio complessivamente 52.236 volontari, di cui 1.104 all’estero. I programmi complessivamente finanziati sono 358, trenta dei quali riferiti a progetti all’estero. Si tratta della principale opportunità annuale per quelle ragazze e quei ragazzi che ambiscono a vivere un’esperienza di vita che rappresenta al tempo stesso un’occasione di formazione e di crescita personale e professionale.

Servizio Civile Universale in Tanzania e Italia: i tre progetti

Dei progetti presentati da ComSol insieme a Focsiv avevamo già parlato al momento della loro approvazione. Quelli che sono stati finanziati sono due. Il primo, denominato “Caschi Bianchi per l’inclusione delle persone con disabilità in Tanzania – 2024”, mira a favorire l’accesso alle strutture sanitarie locali e ai Centri di riabilitazione su base comunitaria di Mbeya e Dar es Salaam per la popolazione con disabilità e le loro famiglie, oltre che ad incrementare l’inclusione scolastica e a promuovere servizi educativi inclusivi. I posti disponibili per i volontari e le volontarie sono 4 presso i Centri CBR Simama della città di Mbeya e altri 4 presso il Centro Riabilitazione “Antonia Verna – Kila Siku” di Dar es Salaam.

Con il secondo progetto, “Caschi Bianchi per il sostegno all’inclusione degli orfani in Tanzania – 2024”, si punta invece a favorire il benessere dei minori accolti nei centri orfani “Tumaini”  e “Renato Grandi” e presso l’ospedale Saint Joseph di Ikelu attraverso attività di cura e supporto, rinforzo scolastico e creazione di spazi in cui i minori possano sviluppare competenze creative. I volontari saranno 2 presso il Centro orfani di Ilembula, 4 presso il Centro Ospedaliero di Ikelu e ancora 2 presso il Villaggio orfani di Ilunda.

Se sei interessato, verifica tutti i dettagli nelle schede informative di ciascun progetto e CONTATTACI per ogni dubbio o per avere un confronto con noi. Ricorda che dovrai presentare la tua candidatura online nella specifica area della piattaforma DOL destinata alle domande di Servizio Civile, a cui è possibile accedere solo tramite SPID o con le credenziali fornite dal Dipartimento in caso di cittadini UE o extra UE regolarmente soggiornante in Italia”.

Servizio Civile Universale: tutte le informazioni utili

Ti ricordiamo anche che in questa pagina abbiamo dedicato ampio spazio al racconto di cosa sia, e che significato abbia, il Servizio Civile Universale. Spieghiamo nel dettaglio come funziona il Servizio Civile svolto all’estero e suggeriamo alcuni motivi per i quali vivere questa esperienza in Africa. Indichiamo che cosa offre il Servizio Civile Universale sia durante il servizio (ad esempio il rimborso mensile) sia dopo la sua conclusione (ad esempio la riserva del 15% dei posti nei concorsi pubblici per chi lo ha svolto) e diamo alcune informazioni specifiche valide per tutti. Non da ultimo, ti presentiamo una serie di testimonianze di ragazze e di ragazzi che hanno svolto il Servizio Civile negli anni passati e ti regaliamo alcune lettere scritte, pensando proprio a te, futuro volontario, da chi ti ha preceduto in questo straordinario percorso. Sono parole preziose che ti consigliamo di non perdere e di accogliere con disponibilità: potrai verificare, specchiandoti in esse, le tue intenzioni, le tue aspettative e anche i tuoi timori. La grande avventura del Servizio Civile Universale ti aspetta, non lasciartela sfuggire!

Un Natale lungo un anno: scegli il tuo dono

Quello che arriva a Natale è un regalo lungo un anno. Un dono prezioso che ci permette di costruire bene e meglio il tempo che verrà. Un aiuto che arriva oggi ma si sviluppa e cresce lungo i mesi. Che ci permette di incontrare persone, conoscere le loro storie, condividere i loro percorsi, accompagnare i loro progetti. Disegnare un futuro, renderlo possibile. Come è accaduto a questa giovane donna, mamma di un bimbo di nome Alfred. 

La sua storia ci viene raccontata dal nostro presidente Michelangelo Chiurchiù, poche ore dopo il suo atterraggio a Dar es Salaam in occasione di una delle periodiche missioni in Tanzania.   

Mama Alfred e il senso del nostro operare

Mama Alfred frequenta il nostro corso di sartoria.

È la più assidua ed è determinata a imparare perché vuol fare la sarta. Vuole che si dica “Mamma di Alfred, mestiere: sarta”.

Ha intravisto in questo nostro progetto una grande opportunità.

La sua storia è emblematica.

Quando è nato Alfred, è stata subito evidente la sua disabilità e il marito ha pensato bene di lasciarla.

Sola, con un figlio sulle spalle, ha cercato aiuto presso la famiglia dell’ex marito. Porte chiuse: “Se il marito ti ha lasciato, significa che hai fatto qualcosa di sbagliato”.

Si è rivolta allora alla sua famiglia d’origine; ma anche qui parole cocenti e disumane: “Se ti è nato un figlio disabile vuol dire che hai una maledizione addosso! Non ne vogliamo sapere niente!”.

Quando si è rivolta al nostro centro era disperata perché aveva ricevuto l’ennesima mazzata. Aveva sì trovato un alloggio (alloggio? Un bugigattolo!) ma il padrone le aveva detto in modo molto chiaro ed esplicito: “Puoi stare qui a patto che tuo figlio non esca di casa! Non voglio avere grane con gli altri condomini”. Il figlio che stava da parte aveva sentito e le ha detto: “Mama, Hamna shida”. “Non c’è problema, io resto in casa…”.

Al che lei è venuta al centro con le lacrime agli occhi: “Che cosa ha fatto mio figlio per meritare una vita da carcerato?”

Il centro “A. Verna Kila Siku” ha preso in carico il bambino e le ha proposto di frequentare il progetto di cucito.

Lei ha imparato a cucire, a confezionare i vestiti e ha capito che quello è il suo riscatto, il modo per ridare speranza a lei e al figlio.

Ed è un modo per dare speranza e fiducia anche alle nostre attività. Perché Mama Alfred fa parte della nostra famiglia ed è il senso del nostro operare qui.

La tua donazione dentro i tanti bisogni

Un momento per donare, un intero anno per vederne i benefici. L’opera di sostegno alle tante bimbe e ai tanti bimbi con disabilità che incontriamo in Tanzania non conosce pause o vacanze: sempre è necessario agire, ed accompagnare queste azioni con tutta la cura e l’attenzione possibili. Nel tempo di Natale, in cui emerge forte la dimensione del dono, ti chiediamo di dare sostegno e forza al nostro prenderci cura. Scegli la strada e lo strumento che preferisci. Il tuo aiuto durerà un anno. 

Un bambino che soffre di epilessia non ha vita facile in Tanzania. Il sistema sanitario tanzaniano è interamente privato e il paziente paga tutto: visita medica, ricovero, esami diagnostici, farmaci e terapie. Un’assicurazione sanitaria costa 20 euro l’anno: consente al bimbo di ricevere da subito controlli, medicinali e visite. E permetterà alla sua famiglia di comprendere quanto sia importante, per rinnovarla il prossimo anno, iniziare fin da subito a mettere da parte i (non pochi, per gli standard locali) soldi necessari. Donare un’assicurazione sanitaria per un intero anno, e farlo per tre bambini donando 60 euro, è il primo dei suggerimenti che ti presentiamo. 

Puoi donare anche il corrispettivo di un kit di farmaci anti-epilettici, per garantire ai piccoli pazienti visitati nei nostri ambulatori di ricevere subito il trattamento più appropriato per la cura della patologia (donazione di 85 euro). O puoi scegliere di occuparti delle bambine e dei bambini che vivono una condizione di malnutrizione: individuati con i nostri screening sanitari, hanno bisogno di kit nutrizionali (con farina arricchita, latte terapeutico e panetti di burro di arachidi) che forniscono le calorie necessarie a salvare loro la vita. Non tutte le famiglie però possono permetterseli: un kit ha un valore di 35 euro.

I nostri piccoli pazienti sono tanti e i bisogni non finiscono certo qui: ogni tua donazione è importante e si tradurrà in un aiuto per la riabilitazione, per la fornitura di ausili ortopedici e posturali, per una maggiore inclusione scolastica e una migliore qualità di vita. Scegli tu l’importo della tua donazione. E tieni conto che, se lo vuoi, insieme o in alternativa alla donazione singola puoi anche attivare una donazione a cadenza mensile: piccoli importi, per un aiuto costante nel tempo che puoi destinare alle visite domiciliari, oppure al sostegno a distanza, oppure alla formazione delle figure professionali, o alle tante altre necessità.

Nell’uno e nell’altro caso ricorda inoltre che la tua generosità viene ripagata e che per ogni donazione potrai detrarre uno specifico importo dalla tua prossima dichiarazione dei redditi.

Uno scatto di speranza: il tuo dono per una foto

Puoi aiutare le attività di Comunità Solidali nel Mondo anche scegliendo di ricevere una delle fotografie della mostra “Chukuana”, l’esposizione degli scatti che il fotoreporter Marco Palombi ha catturato durante un viaggio in Tanzania nei luoghi in cui operiamo. Si tratta complessivamente di 21 fotografie e l’immagine scelta viene stampata su pannelli forex da 5mm, formato 50×70cm, con stampa a colori su PVC adesivo laminato lucido applicato. 

E’ un bel modo di arredare la propria casa o il proprio ufficio, ma sotto Natale è anche e soprattutto una bellissima opera da regalare a parenti ed amici, dando loro un assaggio di vita africana. La donazione che ti impegni a sottoscrivere per avere la tua foto preferita su pannello forex contribuirà a rafforzare l’azione di ComSol in Tanzania. Visita la pagina dedicata alla mostra, scegli la tua fotografia e scrivici a solidarieta@solidalinelmondo.org. Ti ricontatteremo per dare seguito alla tua scelta e per darti tutte le informazioni per effettuare la tua donazione.

“Restiamo solidali”: la lotteria che dona cure e lavoro

Se abiti a Roma o in provincia di Roma, hai anche una terza opportunità. E’ infatti partita l’edizione 2023 di “Restiamo Solidali”, la lotteria che Comunità Solidali nel Mondo organizza per sostenere in Tanzania le famiglie affette da epilessia e per garantire lo stipendio annuo del 2024 ad un medico, un fisioterapista e un assistente presso il Centro di Riabilitazione A. Verna Kila Siku, a Dar es Salaam. Ogni biglietto, che costa appena tre euro, è un passo verso la guarigione. Chiamaci allo 06.01905858 o scrivici a solidarieta@solidalinelmondo.org per prenotare uno o più biglietti o avere tutte le informazioni a riguardo: tra tutti i biglietti venduti (nostro obiettivo e grande gioia è riuscire a vendere tutti i 4.000 tagliandi disponibili), il 19 gennaio 2024 verranno estratti 15 biglietti che si aggiudicheranno i premi messi in palio, il primo dei quali è un voucher per un soggiorno di tre notti per due persone presso l’Hotel Castello di Golfo Aranci, in Sardegna.

Insieme per i bimbi della Tanzania

Il progetto comune di ComSol e Neobilive

Una carrozzina su misura per otto bambini, ognuna delle quali interamente adeguata alle specifiche esigenze di ciascuno, per poter finalmente consentire loro di usufruire di un ausilio che garantirà libertà di movimento e un aumento dell’autonomia.

Al Centro A. Verna Kila Siku di Dar es Salaam, in Tanzania, sono settimane di attesa queste che separano bambini e bambine dall’arrivo di un importante regalo.

A beneficiarne saranno otto bimbi, alle necessità dei quali lo staff del Centro, sulla base del budget disponibile, ha dato priorità.

Ad inviare il dono è stata un’azienda italiana giovane e intraprendente, Neobilive, insieme al loro probiotico Vitalongum, che, con una donazione a Comunità Solidali nel Mondo, ha voluto contribuire con i fatti a migliorare sensibilmente la condizione di vita di diversi bambini.

ComSol e Neobilive: come è nato tutto

Questa storia inizia alcuni mesi fa quando Neobilive lancia fra la sua community la richiesta di segnalare un’organizzazione non profit che abbia un impatto significativo sulla comunità: la volontà, infatti, è quella di donare una parte dei ricavi ad una Onlus in occasione del secondo compleanno dell’azienda.

Neobilive è una start up nata nel 2021 che si occupa di formulare, produrre e distribuire prodotti (come il probiotico Vitalongum) che garantiscano l’equilibrio della flora intestinale e che consentano dunque di affrontare al meglio i problemi legati all’intestino.

Neobilive, insieme a Vitalongum, è stata la prima realtà sul tema a creare una piattaforma online per parlare con gli utenti dei molti temi relativi a salute, microbiota e probiotici: una piattaforma supportata da esperti del settore. Un approccio medico-scientifico che intende supportare gli individui e accompagnarli verso la piena consapevolezza del proprio organismo.

Accade così che, in risposta all’appello lanciato, Comunità Solidali nel Mondo viene prima segnalata dalla nostra cooperante Valentina De Cao e poi successivamente selezionata da Neobilive per un sondaggio finale che la porta ad essere definitivamente scelta come la realtà alla quale destinare la donazione.

La passione e la dedizione nell’aiutare la comunità locale in Tanzania catturano infatti l’attenzione della community di Neobilive e Vitalongum, che con quasi il 50% dei voti dimostra forte apprezzamento per il contributo che ComSol dà al miglioramento delle condizioni di vita in Tanzania.

H2: A cosa sarà destinata la donazione di Neobilive

Giovanni Drago – founder e Digital Marketing Manager di Neobilive – e Comunità Solidali nel Mondo si incontrano così per comprendere in quale direzione orientare l’aiuto previsto e definire i dettagli del supporto concreto.

Di comune accordo, e grazie al fondamentale contributo del personale in Tanzania, si decide di destinare l’importo della donazione a bambini seguiti dal Centro A. Verna Kila Siku che hanno estremo bisogno di una carrozzina personalizzata che la loro famiglia non può permettersi di acquistare.

I bambini sono stati accompagnati presso l’ospedale CCBRT a Dar Es Salaam (Comprehensive Community Based Rehabilitation in Tanzania): è qui che le otto carrozzine saranno acquistate. L’ospedale ha già effettuato le misurazioni necessarie per avviare la costruzione delle carrozzine, che dovrebbero essere consegnate nel volgere di alcune settimane.

Prossimi passi per ComSol, Neobilive e Vitalongum nella cooperazione internazionale

Una volta che il tutto sarà stato completato e ai bambini sarà consegnata la carrozzina personale, con i fondi residui saranno avviate altre due attività, rivolte stavolta alla generalità dei bambini e delle bambine assistiti dal Centro, circa 800: da un lato si pensa ad uno screening con una nutrizionista, dall’altro all’acquisto di giochi e altro materiale utile per la terapia di tipo cognitivo.

Aspettiamo il momento della consegna delle otto carrozzine, che sappiamo già ora sarà toccante ed emozionante.

Vi terremo aggiornati sugli sviluppi della storia e della nostra partnership con Neobilive e Vitalongum, che ringraziamo per la scelta effettuata e per la visione lungimirante che l’ha portata ad investire denaro, tempo e relazioni sul versante della cooperazione internazionale.

Servizio Civile Universale, approvati tre nuovi progetti

Novità in arrivo per tutti i ragazzi e le ragazze fra i 18 e i 28 anni: prossimamente ci saranno nuove opportunità per svolgere il Servizio Civile Universale (SCU) con Comunità Solidali nel Mondo. Il Dipartimento per le Politiche giovanili e il Servizio Civile Universale, cioè la struttura di supporto al Presidente del Consiglio dei Ministri per la promozione e l’attuazione delle politiche in favore della gioventù ed in materia di SCU, ha infatti approvato, dopo averli vagliati e valutati, tre nuovi progetti presentati nei mesi scorsi insieme a Focsiv – Volontari nel Mondo. Come tutti quelli inseriti nell’elenco approvato, anche i progetti che vedono Comunità Solidali nel Mondo come soggetto attuatore sono ora in attesa del relativo finanziamento, cui seguirà la pubblicazione del Bando per i Volontari e l’effettiva possibilità per i giovani e le giovani interessati di inoltrare l’apposita domanda. Nel frattempo puoi leggere le schede sintetiche di ogni progetto, che trovi di seguito. Contattaci tramite l’apposito form della nostra pagina SCU per confrontarti con noi ed essere certo di avere tutti gli aggiornamenti. Naturalmente continua anche a monitorare il nostro sito e a seguire i nostri canali social per essere informato su tutte le nostre attività.

I progetti approvati: numeri e sedi 

I tre progetti approvati, e ora in attesa di finanziamento, riguardano complessivamente 18 volontari del Servizio Civile Universale, che opereranno in sei differenti sedi: cinque di queste si trovano in Tanzania, una in Italia.

Con il progetto “Caschi Bianchi per l’inclusione delle persone con disabilità in Tanzania – 2024” si mira a favorire l’accesso alle strutture sanitarie locali e ai Centri di riabilitazione su base comunitaria di Mbeya e Dar es Salaam per la popolazione con disabilità e le loro famiglie, oltre che ad incrementare l’inclusione scolastica e a promuovere servizi educativi inclusivi. I posti disponibili per i volontari e le volontarie saranno 4 presso i Centri CBR SImama della città di Mbeya e altri 4 presso il Centro Riabilitazione “Antonia Verna – Kila Siku” di Dar es Salaam.

Con il progetto “Caschi Bianchi per il sostegno all’inclusione degli orfani in Tanzania – 2024” si punta a favorire il benessere dei minori accolti nei centri orfani “Tumaini”  e “Renato Grandi” e presso l’ospedale Saint Joseph di Ikelu attraverso attività di cura e supporto, rinforzo scolastico e creazione di spazi in cui i minori possano sviluppare competenze creative. I volontari saranno 4 presso il Centro orfani di Ilembula, 2 presso il Centro Ospedaliero di Ikelu e ancora 2 presso il Villaggio orfani di Ilunda.

Infine, il terzo progetto denominato “In Italia per un impegno internazionale – 2024” prevede 2 volontari presso la sede di Roma di Comunità Solidali nel Mondo, per svolgere attività di promozione di esperienze strutturate di volontariato per i giovani, e di buone pratiche di vita sostenibile, con l’obiettivo di sensibilizzare la comunità romana (e più in generale quella nazionale) alle tematiche sociali, ambientali ed economiche.

Giovanna, i cinque sensi e la sua Tanzania

Il gusto, l’olfatto, il tatto, la vista e l’udito: quello che vi presentiamo è, attraverso un percorso basato sui cinque sensi, il racconto di un anno di Servizio Civile Universale in Tanzania e di come quell’esperienza ha saputo portare nuove ed inattese sensazioni, tutte con un loro significato e un loro perché. Non è un resoconto scontato o formale, quello che al termine del suo servizio ci regala Giovanna Di Riso, ma una serie di immagini puntuali che ci restituiscono uno scorcio di vita personale, e ci permettono di osservare più da vicino l’impatto avuto da una ragazza alle prese con un viaggio che come nessun altro ha saputo stimolare e mettere alla prova i suoi sensi.

Giovanna ha vissuto con Comunità Solidali nel Mondo l’esperienza di un anno di Servizio Civile in Tanzania da settembre 2022 a settembre 2023: dodici mesi intensi, nei quali è entrata in relazione con le comunità locali, dando e ricevendo; dodici mesi di impegno e di conoscenza di una realtà radicalmente diversa da quella italiana. Un cammino da lei vissuto nella città di Dar es Salaam presso il centro A. Verna Kila Siku, del cui periferico quartiere di Kawe (in cui il centro è collocato), Giovanna ci restituisce alcune delle atmosfere che ha potuto vivere in prima persona. Indelebile è e resterà il sentimento di ringraziamento che Comunità Solidali nel Mondo le esprime. Ecco di seguito la riflessione che Giovanna ci ha regalato a conclusione del suo anno di Servizio Civile.

I miei sensi, la mia Tanzania

di Giovanna Di Riso 

Fino ad oggi, mai nessun viaggio aveva così tanto stimolato e messo alla prova i miei sensi.
Tutto parte dalle labbra. La sperimentazione di nuovi sapori è sempre un’avventura, se non piacevole, quantomeno interessante: nuove consistenze e nuovi gusti allettano e stuzzicano il palato ogni volta, che siano oramai cibi conosciuti o pietanze novelle. A volte, è vero, sono stata contenta di mangiare quasi al buio: meglio non sapere cosa ci fosse nel piatto ma muoversi a tentoni, con le mani incerte che sondano il terreno inesplorato, in quello stesso piatto, e capire solo dopo aver introdotto il cibo in bocca è stata una sfida intrigante e a fine pasto ogni volta gustosa.

L’olfatto spesso ha patito gli odori pungenti, forti, decisi. Vorrei poter dire che dopo un po’ ci si abitua ad alcune fragranze, ma la verità è che restano sempre ugualmente fastidiose e sempre nuove, ogni volta, pure se le hai appena respirate il giorno prima. Le narici si impregnano di odori che non si sa da dove e da cosa provengano: macerazione e marciume, sudore (io stessa ho cambiato odore), il sangue dei polli appena ammazzati ancora vivo che cola a fiumi tra le bancarelle del mercato, urina, feci, plastica e rifiuti bruciati. Poi, però, ti capita sotto il naso un bambino che sa di quel profumo inconfondibile e inebriante di bambino e olio di cocco; la terra rossa, arsa e brulla, si bagna dopo un acquazzone violento e si fa strada, al mattino, appena svegli, l’odore del terriccio umido che profuma, a quanto pare, allo stesso modo ovunque e ti riporta a casa pure se sei dall’altra parte del mondo. Un mango o un passion fruit diventano capaci di raccontare profumi esotici e di far sussultare l’olfatto e pure la lingua ad ogni assaggio.

Ti svegli sulle montagne di Morogoro sopraffatto dal profumo di cardamomo e cannella. Sei al centro e per le stanze si sparge l’aroma speziato del chai. Corri in spiaggia e sale violento l’effluvio del mare. Così il naso finalmente si ambienta, è come ritornare a respirare dopo l’apnea. Quando si riemerge vincitori da questo battesimo di esalazioni, pure i dagà al mercato iniziano a sapere di buono.


E il tatto. Entrare a piedi nudi nella casa di qualcuno è forse la più alta forma di rispetto e reverenza. Vuol dire che mi spoglio e lascio che la carne nuda prenda contatto, senza precauzioni e senza barriere frammezzo, eppure, spesso, mi sono chiesta dove stessi camminando e su cosa poggiassi, cosa avrei pestato e cosa avrei raccolto. Poi diventa abitudine, i muscoli si rilassano e la pianta si allarga, esplora e scopre nuovi terreni; delle scarpe quasi ci si dimentica ma non sempre i piedi si sono sentiti sicuri nel procedere senza conferma degli occhi. 

Così entra in gioco la vista, indispensabile al punto che si impara in fretta a farne a meno: le luci sono così fioche che il buio il più delle volte la fa da padrone, bisogna per forza abbandonarsi, aguzzare i sensi che restano e andare alla cieca. Ma quando il sole sorge e rischiara ogni cosa, gli occhi si riempiono di meraviglia e colori brillanti. Le foglie sembrano più verdi, la terra ha il colore del vino e il sole stesso è così lucente da incendiare il cielo della Tanzania, che ci ha regalato lune nuove e lune piene splendenti, un manto di stelle e la via lattea come nuovo tetto sulla testa quando quello di casa non ci è più bastato, e Venere e Marte a portata di mano, quasi a un tiro di sasso.

E l’udito? Dimenticavo l’udito. Quello è andato a farsi benedire dopo il primo mese di vita qui. Kawe è tutto fuorché un posto tranquillo e silenzioso.

SHINE, la risposta ai bisogni effettivi della comunità tanzaniana

La cura dell’epilessia, il contrasto alla malnutrizione, la presa in carico e la riabilitazione delle bambine e dei bambini con disabilità: sono alcuni degli obiettivi che in Tanzania stiamo perseguendo da tempo e che hanno trovato nuovo slancio con le azioni del Progetto SHINE (AID 012590/09/1), finanziato dall’AICS (Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo), il cui ampio raggio d’azione permette ad un numero sempre maggiore di persone di trovare una risposta efficace ai propri bisogni di natura sanitaria e sociale.

Attività che vengono svolte, fra gli altri, in due specifiche strutture: la clinica per la cura dell’epilessia situata al centro di salute Iyunga RC nella città di Mbeya e il Centro di riabilitazione Antonia Verna Kila Siku di Kawe, quartiere periferico della principale località del paese, Dar es Salaam. E proprio questi due centri sono stati visitati nel corso dello scorso mese di settembre da una delegazione ufficiale dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, che ha potuto conoscere da vicino le attività che vi vengono svolte. 

Mbeya, la clinica per la cura dell’epilessia

La nuova clinica dell’epilessia, situata nella città di Mbeya presso il centro di salute Iyunga RC, è stata visitata da una delegazione guidata dalla dott.ssa Grazia Sgarra, Capo dell’Ufficio VIII dell’AICS, e dal dott. Paolo Razzini, Capo dell’Ufficio AICS di Dar es Salaam. L’ambulatorio è sorto proprio all’interno del progetto SHINE, con la costruzione di uno spazio dedicato a scopi medici, dove sono forniti servizi per l’epilessia (e la malnutrizione) con 4 sale mediche, una reception, una sala d’attesa, una farmacia e una toilette. Un passaggio fondamentale perché ha permesso di creare un filo diretto con la struttura di riabilitazione all’interno della quale è inserita, così da garantire un trattamento più efficace ai bambini epilettici e malnutriti sotto trattamento riabilitativo.

Durante la visita si è messo in evidenza proprio l’aspetto di come l’avvio di una clinica specializzata nel trattamento dell’epilessia risulti strettamente interconnessa con il lavoro che Simama CBR porta avanti dal 2013 nella realtà di Mbeya: il 30% dei bambini con disabilità registrati ai nostri centri, infatti, presentano una diagnosi associata di epilessia. Se questa condizione non è gestita bene porta a un rallentamento delle tappe dello sviluppo psicomotorio, ad un’inefficacia dei trattamenti riabilitativi e in definitiva ad un peggioramento della qualità di vita.

La presenza di un elettroencefalografo (EEG), strumento fondamentale per una migliore diagnosi dell’epilessia e quindi anche per una buona gestione farmacologica, è particolarmente prezioso, giacché nel territorio dell’altopiano del Sud della Tanzania mancano macchinari come l’EEG e spesso la gestione farmacologica risulta inappropriata. Significativa anche la presenza sul posto di una dottoressa specializzanda in Neuropsichiatria infantile, Maria Ausilia Musumeci dell’Università “La Sapienza” di Roma, che offre un supporto al team di medici e tecnici locali che sono stati coinvolti dal nostro partner locale Shalom/Simama e che si stanno dedicando a questa materia medica che in Tanzania è forte motivo di stigma sociale.

Con la visita della nuova clinica dell’epilessia è stata sottolineata l’importanza di creare una realtà che in futuro possa auto-sostenersi perché risponde ad un bisogno reale e non soddisfatto della popolazione, in raccordo con il progetto promosso da ComSol con la Diocesi e la Caritas di Mbeya, con gli obiettivi di migliorare le condizioni mediche e sociali delle persone affette da epilessia, coinvolgendo anche le realtà istituzionali locali per dare continuità vera al processo avviato.

Dar es Salaam, il Centro Antonia Verna Kila Siku 

E’ stato il Centro di riabilitazione Antonia Verna – Kila Siku di Kawe, quartiere periferico di Dar es Salaam, il teatro della visita della delegazione AICS nella principale città della Tanzania: erano presenti la dott.ssa Beatrice Geraci (Referente Progetti Promossi OSC Ufficio VII – Soggetti di cooperazione, partenariati e finanza per lo sviluppo) e la dott.ssa Rosa Maria Dragone, consulente AICS, insieme al dott. Paolo Razzini, Capo dell’Ufficio AICS di Dar es Salaam. Durante la loro visita hanno potuto notare l’aumento cospicuo e costante di iscrizioni al centro da parte di piccoli pazienti (ad oggi 716) e di pazienti adulti (ad oggi 130), prova dell’effettivo bisogno accolto e soddisfatto dalla costruzione del centro. Una struttura, lo ricordiamo, sorta grazie al progetto “All Inclusive 2017-2019”.

La manager del Centro, sr Anjela Jorrow Jeremiah, ha illustrato il modello di lavoro e condiviso con le rappresentanti AICS l’importanza di adottare il metodo della riabilitazione su base comunitaria (CBR) e dello sviluppo comunitario inclusivo (CBID), che si prende carico del bambino con disabilità nella sua totale complessità, considerando la famiglia, la scuola, l’ambiente sociale e ovviamente la sua salute. L’incontro con il personale, assunto e formato dal progetto “All Inclusive” e ancora presente in struttura, ha permesso di dipingere la storia dall’inizio ad oggi di come le attività e i servizi si siano evoluti nel tempo.

Durante il confronto con la delegazione AICS è stato condiviso anche il percorso che Antonia Verna – Kila Siku ha intrapreso sia sul versante dell’incremento della qualità delle terapie erogate (dalla fisioterapia alla terapia occupazionale, comportamentale, cognitiva e logopedia), sia sul versante del riconoscimento istituzionale. A tal proposito, la nuova visita compiuta nel corso del 2023 dalla ministra della Salute del governo tanzaniano, Mw. Ummy Mwalimu (che aveva già inaugurato il centro nel 2019) ha evidenziato come le istituzioni tanzaniane siano le prime a interessarsi al lavoro svolto dalla ONG in collaborazione con il partner locale, la congregazione delle Suore di Ivrea. È ai fini della sostenibilità, del resto, che questo lavoro a fianco delle Istituzioni viene portato avanti, affinché il modello del centro Antonia Verna – Kila Siku, unico nel suo genere in Tanzania, possa essere riconosciuto dal Governo e poi replicato in altre regioni

Da questo punto di vista, appare chiaro come il progetto SHINE, finanziato dall’AICS, permetterà di proseguire e continuare con le attività già avviate in passato, rispondendo inoltre anche ai nuovi bisogni emersi negli anni, a partire dalla risposta alla malnutrizione nella popolazione con disabilità fisica e cognitiva.

Partita l’avventura dei Corpi Civili di Pace

L’avventura è partita. Ha preso il via nelle scorse settimane l’esperienza dei Corpi Civili di Pace (CCP) in Tanzania: le protagoniste sono 4 operatrici italiane, impegnate per un anno in un progetto sul campo che mira a trasmettere alle persone con disabilità in Tanzania la piena coscienza dei loro diritti. Il progetto, presentato sotto l’egida di Focsiv – Volontari nel mondo, è inserito fra i 28 approvati dal Dipartimento per le Politiche Giovanili e il Servizio Civile Universale in seguito al terzo bando della fase di sperimentazione dei CCP. Comunità Solidali nel Mondo nel corso di quest’anno gestirà l’intero percorso operativo.

La data ufficiale di avvio è stata quella del 16 ottobre 2023, con tutti e 52 gli operatori impegnati nei progetti di Focsiv e dei suoi enti che si sono ritrovati insieme per una prima fase di formazione generale che è andata avanti fino al 26 ottobre scorso. Nel corso di questo tempo, le 4 operatrici impegnate con ComSol (nella foto di apertura sono davanti al Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale, a Roma) hanno affrontato anche alcune specificità del loro progetto, approfondendo la storia, le modalità e lo stile di intervento di Comunità Solidali nel Mondo, oltre che apprendere informazioni di tipo logistico, comprese quelle relative alla sicurezza nei luoghi di lavoro e al protocollo di sicurezza adottato per far fronte ai pericoli presenti nell’area di intervento.

Il giorno da segnare in rosso sul calendario è stato quello di venerdì 27 ottobre, quando Alessandra, Camilla, Giorgia e Prisca sono salite sull’aereo che, dopo un volo notturno, le ha portate fino a Dar es Salaam, principale centro della Tanzania e luogo designato per il loro servizio. Non la prima volta in Tanzania per Camilla, laureata in Arte, che nel paese africano, per la precisione ad Iringa, ha in passato già trascorso un anno con il Servizio Civile Universale all’estero; stessa pregressa esperienza di SCU, ma svolta in Kenya, anche per Giorgia, laureata in Cooperazione. Medesimo titolo accademico per Prisca, che il suo Servizio Civile lo ha invece svolto in Italia presso un centro per rifugiati, mentre Alessandra, diplomata alla SIOI e laureata in Lingue, è stata collaboratrice in una casa famiglia per minori stranieri non accompagnati.

Con un’età compresa fra i 25 e i 28 anni, le quattro operatrici saranno impegnate nelle attività di formazione ancora per tutto il mese di novembre. Un lavoro intensivo per poter acquisire al meglio tutte le informazioni che saranno poi cruciali nello svolgimento del loro impegno operativo. Alcuni moduli formativi saranno svolti ancora da remoto, con particolare riferimento a quelli relativi alla teoria e pratica della nonviolenza in zone di conflitto e ai modelli e pratiche di interposizione (Peace Support Operation), ma la gran parte del rimanente impegno formativo sarà gestito interamente a Dar es Salaam. Intanto occorre conoscere meglio la Tanzania, con la sua storia, la sua cultura e gli aspetti sociali ed economici più rilevanti: l’approfondimento del quadro politico andrà a braccetto con l’approfondimento del quadro giuridico locale di riferimento rispetto al tema dei diritti umani e della legislazione sulla disabilità (Disability Act). La conoscenza dei partner locali si accompagnerà a quella delle istituzioni e delle ong locali che lavorano con persone di disabilità, non dimenticando un’analisi del contesto e delle varie tipologie di disabilità presenti, in modo da poter più agilmente entrare nello specifico delle attività previste, con l’esame degli strumenti e delle metodologie da porre come basi delle azioni da attuare (creazione di gruppi comunitari, diffusione di campagne di sensibilizzazione, valutazione delle vulnerabilità, ecc.). Da ultimo, ma fondamentale e propedeutico all’intero percorso, le 4 operatrici italiane seguono per tutto il mese di novembre anche un corso intensivo di lingua swahili, che permetterà loro di avere la chiave più importante per avviare relazioni personali con la popolazione locale.

Una volta che questa prima fase di avvio sarà completata, prenderanno il via le azioni previste dal progetto, ad iniziare dalle attività che permetteranno di fotografare la situazione esistente nei distretti periferici di Dar es Salaam e di comprendere l’attuale livello di consapevolezza, collettiva e personale, dei diritti umani e civili delle persone con disabilità. Solo in piccola parte, infatti, le 4 volontarie opereranno all’interno del Centro di riabilitazione Kila Siku – Antonia Verna di Dar es Salaam: la loro azione si concentrerà soprattutto nelle periferie della grande metropoli, compresi i centri satellite di Kila Siku. Col tempo, poi, saranno avviate le azioni di diffusione di informazione e sensibilizzazione comunitaria che rappresentano il cuore del progetto, che mira a cambiare nel concreto la percezione sociale verso la popolazione con disabilità, orientando al meglio anche le decisioni politiche che la riguardano.

Ma ci sarà modo, nei prossimi mesi, di seguire insieme, via via che andrà realizzandosi, il percorso dettagliato dei Corpi Civili di Pace in Tanzania. Per il momento, mentre acquisiscono le conoscenze utili al riguardo, noi diamo il caloroso benvenuto ad Alessandra, Camilla, Giorgia e Prisca, augurando loro uno splendido cammino insieme alla comunità tanzaniana e a Comunità Solidali nel Mondo .

Il tuo 5×1000 per farli sorridere: lasci o raddoppi?

La tua firma sulla Dichiarazione dei Redditi permette a Comunità Solidali nel Mondo di sostenere in Tanzania tanti bambini con disabilità, migliorando la loro vita insieme a quella delle loro famiglie e dell’intera comunità. Destinare il tuo 5×1000 è un modo semplice e concreto di aiutare, che non ti costa nulla ma per tanti bambini e loro famiglie significa finalmente poter sorridere. Nella fatica e nelle difficoltà che si incontrano ogni giorno, vedere sorridere i pazienti, soprattutto i più piccoli, è l’obiettivo e al tempo stesso il motore che ci permette di affrontare con energia e determinazione ogni sfida giornaliera: la gioia dà il coraggio di sperare, sognare, progettare, costruire sulla carta e poi realizzare i progetti che – anche con il tuo contributo – possiamo continuare a rendere concreti.

5×1000 ancora possibile sul modello Redditi PF

Se sei fra i contribuenti che presentano il Modello Redditi PF (l’ex modello Unico) per via telematica ricorda che hai tempo per farlo fino al 30 novembre 2023. Le istruzioni sono sempre le stesse: nella sezione dedicata firma nel primo riquadro (“Sostegno degli enti del terzo settore…”) e poi riporta il nostro codice fiscale 97483180580. Ricordati che puoi esprimere una sola preferenza e indicare un solo codice fiscale. A seguito della tua scelta, Comunità Solidali nel Mondo riceverà una cifra pari al 5 per mille della tua Irpef, l’imposta sul reddito delle persone fisiche di tua competenza. Tieni presente che questo meccanismo a te non costa nulla, dal momento che devi comunque versare interamente la tua Imposta sul Reddito allo Stato, il cui 5 per mille sarà poi girato – in base alla tua indicazione – a Comunità Solidali nel Mondo. 

Nel caso in cui tu, pur indicando la categoria “Sostegno agli enti del terzo settore”,  ometta di inserire il codice fiscale (o quello indicato non sia valido: attenzione a inserirlo correttamente!) il tuo 5 per mille verrà ripartito fra tutti gli enti iscritti in quella categoria, in proporzione alle scelte fatte dagli altri. Di fatto cioè la tua quota sarà ripartita in modo proporzionale fra gli enti in base al numero delle preferenze ricevute dal totale dei donatori: insomma, in questo modo non decidi tu a chi andrà la tua quota di 5 per mille! Ecco perché per aiutare Comunità Solidali nel Mondo è importante firmare ma anche inserire attentamente il codice fiscale 97483180580. Se infine non fai proprio nessuna scelta, neppure quella limitata alla sola categoria generale, il tuo 5 per mille rimane allo Stato. In nessun caso, lo ripetiamo, potrai trattenere per te questa parte delle imposte.

A quanto corrisponde il tuo 5×1000?

Ma ti sei mai chiesto quanto vale esattamente il tuo 5×1000? Quale cifra cioè hai destinato a Comunità Solidali nel Mondo nel momento in cui hai indicato il nostro codice fiscale nell’apposito riquadro? La cifra esatta puoi in realtà saperla solo tu perché solo tu conosci l’esatto ammontare della tua Irpef. Possiamo fare però qualche esempio per chiarire l’ordine di grandezza di cui parliamo.

Un contribuente con un reddito di 20.000 euro annui è chiamato a versare un’Irpef pari a 4.700 euro: il 5×1000 di questa cifra equivale a 23,50 euro. In realtà, molto probabilmente egli in concreto usufruirà di tutta una serie di deduzioni (come quelle per l’abitazione principale) o di detrazioni (come quelle per lavoro dipendente, o quelle edilizie, o per le spese sanitarie) che ridurranno l’importo dell’imposta netta da versare e conseguentemente diminuiranno anche l’ammontare reale del suo 5×1000. Per un contribuente che ha invece un reddito imponibile di 40.000 euro la quota Irpef lorda è pari a 10.900 euro, che equivale ad un 5×1000 pari a 54,50 euro. Anche in questo caso, si tratta della cifra reale solo nel caso in cui vi sia una totale assenza di deduzioni e detrazioni fiscali: la presenza di queste ultime determinerà invece un minor importo da pagare e quindi anche la cifra effettiva del 5×1000 sarà più bassa.

Nella tabella che segue abbiamo raccolto alcuni altri esempi. Come già accennato, l’ammontare reale del 5×1000 è calcolato sempre sull’Irpef netta che viene effettivamente versata, la quale dipende non solo dal reddito imponibile ma anche dalle molte altre voci che possono contribuire a ridurla, anche significativamente. L’importo qui indicato nella colonna 5×1000 va dunque inteso come la cifra massima corrispondente al reddito di riferimento, con la consapevolezza che nella quasi totalità dei casi la presenza reale di deduzioni e detrazioni determinerà nei fatti il versamento di un minore importo di quello indicato. Se vuoi essere certo di conoscere l’ammontare esatto del tuo 5×1000 verifica nella tua Dichiarazione dei Redditi l’importo della tua Irpef netta e considera lo 0,5% di quella somma

Raddoppia il tuo 5×1000!

Ora che hai un’idea più precisa dell’entità del tuo 5×1000, sai anche quale contributo concreto hai potuto destinare alla nostra organizzazione tramite quella strada. Ma sai anche che i bisogni dei bambini e bambine con disabilità che assistiamo sono tanti e ogni aiuto aggiuntivo ci consente di rafforzare i nostri interventi, accrescendo la gioia di curarli per vederli sorridere. Per questo ti proponiamo di “raddoppiare” il tuo 5×1000 effettuando una donazione per un importo corrispondente a quello che, senza alcun costo per te, hai già destinato (o ti stai preparando a destinare) attraverso la firma sulla Dichiarazione dei Redditi. Sono due aiuti al prezzo di uno, che ti permettono di dare slancio alle nostre attività e di rafforzare il tuo aiuto alle bambine e ai bambini con disabilità che incontriamo ogni giorno nei Centri di riabilitazione. 

Puoi effettuare la tua donazione direttamente su questa pagina. Aggiungiamo tutti insieme altri sorrisi a quelli di Lawrencia (con il piccolo Tomas) e di Benson, insieme ai quali quest’anno abbiamo potuto dire: “Gioia è curarli per vederli sorridere!”. 

Servizio civile, tutta la bellezza di un anno in Tanzania

Nell’ultimo anno sono state le colonne del Servizio Civile Universale in Tanzania per Comunità Solidali nel Mondo. Dodici giovani che hanno intensamente vissuto i loro 12 mesi di servizio civile entrando in relazione con le comunità locali, dando e ricevendo attenzione e cura, in particolare dalle tante donne e dai tanti bambini incontrati. Ragazzi e ragazze provenienti dall’Italia che in Italia hanno ora riportato la freschezza e la profondità di un’esperienza da ricordare. E indelebile è e rimarrà il sentimento di ringraziamento che Comunità Solidali nel Mondo esprime a ciascuno di loro: un anno bello ma anche faticoso, difficile ma anche sfidante, in cui tutti insieme ci hanno trasmesso la bellezza dell’essere gruppo, con quella coesione e collaborazione che ha caratterizzato la loro permanenza in Tanzania.

I 12 volontari (dieci ragazze e due ragazzi) hanno svolto il loro servizio dal settembre 2022 al settembre 2023, trascorrendo la gran parte del tempo in tre diverse sedi tanzaniane, abbracciando così idealmente l’intero paese, dalla costa all’interno, dal mare alla montagna, dalla città ai villaggi rurali, con uno spirito unitario, al servizio della causa comune.

A Wanging’ombe

Il piccolo villaggio di Wanging’ombe è stato teatro del servizio di Sonia Blandizzi, Marta D’Ascanio, Elisa Pedrazzi e Maria Teresa Vicari. Un’esperienza incentrata su un progetto riguardante disabilità e lotta alla malnutrizione che con una metodologia di intervento su base comunitaria, all’interno del programma di cooperazione Inuka, ha portato nel Centro di riabilitazione tanti piccoli pazienti accompagnati dalle loro mamme. Un contesto che ha permesso – sottolinea Marta – di “stringere relazioni, confrontarmi e scoprire giorno dopo giorno la bellezza di una realtà completamente distante da quella a cui ero abituata”. Ci racconta Elisa: “Sono arrivata in una terra che fino a quel momento avevo solo immaginato e ho iniziato a mischiarmi con essa: mi sentivo diversa ma è bastato poco per riuscire a creare delle sfumature nuove e capire che potevo fare esattamente quello che facevano loro, senza alcuna differenza”. “In fondo – dice – sei solo un granello di sabbia e spesso non potrai fare la differenza, ma quando sono arrivata nella strada di Wanging’ombe ho iniziato a capire che ogni pezzettino, ogni particella di quel posto era importante perché lo costituiva e lo rendeva unico. In Italia spesso le persone ti scansano o cercano di rimuoverti, mentre in Africa ti puoi sentire parte di una comunità, perché la terra e il contatto con essa è intrinseco nelle persone e fa parte della loro cultura. Mi sono sentita piccola, un granello che poteva solo stare con gli altri ed osservare il loro modo di essere e questo a volte mi ha affascinata, a volte mi ha frustrata, ma è tutto parte di quel luogo”.

A Mbeya

A Mbeya, una città di 250 mila abitanti circondata dai monti a 1700 metri di altitudine, Giorgia Ferrami, Sabrina Leonardi, Ilaria Mazzuca e Andrea Pilia sono stati impegnati nell’ambito del programma di cooperazione “Simama”, anch’esso a favore di bambini e adolescenti con disabilità. Tante persone e tante storie: “Vedere un ragazzo adolescente come Prosper, sempre sorridente, poter finalmente camminare meglio grazie al suo nuovo bastone, o vedere il piccolo Danieli iniziare finalmente a camminare da solo e poter andare a scuola in autonomia con il suo nuovo ausilio: queste piccole o grandi esperienze sono quelle che poi rimangono nel bagaglio del servizio civile”, dice Andrea.

“Quando sono arrivata in Tanzania – ci racconta Giorgia – mi sono subito resa conto che sarei stata molto di più io a ricevere rispetto a quello che avrei dato: è una cosa che capisci subito in quanto lì ogni cosa è un’esperienza, ogni cosa è stupore, ogni cosa è curiosità. Ho guardato tutto cercando di imparare più cose possibili. Anche se delle volte ti trovi davanti a determinati fatti che non puoi controllare e che sono più grandi di te, far parte della grande macchina di Simama basta già per sentirti parte di tutta la comunità e andare avanti. Grazie al servizio civile – continua – ho potuto godere di questa emozione, di questa gioia enorme che ti ricorda cosa fai ogni giorno, perché sei lì e come tutto si muove: alla fine a me è bastato sapere di fare parte di tutto questo, insieme a tutti gli operatori che non smettono di fermarsi per supportare tutti i bambini con disabilità”.

“C’è stata una bambina – confida invece Ilaria – che mi ha rubato il cuore: si chiama Believe, ha 3 anni e quando l’ho conosciuta gattonava solo e veniva spesso a fare gli esercizi al centro. Non le piaceva molto farli, e diceva solo poche paroline. Con il tempo ha iniziato a migliorare, aveva imparato anche il mio nome e mi chiamava continuamente. La soddisfazione più grande è stata vederla muovere i primi passi da sola senza nessun sostegno: ne faceva pochi, poi si stancava, ma non voleva più farsi portare dietro la schiena della mamma. Era soddisfatta di stare in piedi da sola, di camminare, di cadere e continuare a provarci, nonostante fosse stanca. Il suo traguardo – continua Ilaria – è stato non solo suo, ma di tutti; della mamma, delle operatrici, di tutte le altre mamme che la conoscevano. Il senso di comunità è così grande lì che il successo di una persona diventa il successo di tutti. La positività che hanno la vedi ogni volta che chiedi alla mamma se il bambino cammina: non rispondono mai “No”, rispondono “Bado” (Non ancora), perché prima o poi ce la farà, la speranza non si perde mai. Quando ho visto lei e i suoi risultati, ho pensato che la forza che hanno i bambini non ce l’ha nessuno. Believe significa crederci e lei ci ha creduto, come tutti noi”.

A Dar es Salaam

Sulla costa dell’Oceano Indiano davanti a Zanzibar, nella capitale economica della Tanzania, Dar es Salaam, hanno vissuto il loro servizio civile Luca Della Longa, Giovanna Di Riso, Lisa Fiacchini ed Elisa Zandaval. La loro esperienza, nel popoloso quartiere periferico di Kawe, è ruotata intorno al Centro di Riabilitazione “Kila Siku”, che nell’ambito dell’omonimo programma contribuisce, a partire da una riabilitazione medico-sanitaria, a migliorare le condizioni di vita di bambini e bambine con disabilità e delle loro famiglie, limitandone l’esclusione sociale. “Mi ha motivato – riassume Luca – la possibilità di mettermi a disposizione, attraverso ciò che sono e faccio, ma anche l’imprevedibilità delle situazioni, che mi portano a provare strategie e attività sempre nuove. Non è facile in ogni situazione mettersi in discussione e adattarsi al nuovo e al diverso, ma è estremamente stimolante, sfidante e gratificante”. Rimane così, dice Elisa, “la bellezza, l’essenzialità e l’importanza delle piccole cose fatte di gesti, parole e sorrisi delle persone locali, in primis delle mamme e dei bimbi che frequentano il centro”. E Lisa rimarca “il creare legami sempre più intimi con i colleghi, le famiglie e i bambini, con la speranza di riuscire a lasciare qualcosa. Sentirmi parte di quella realtà così diversa dalla mia è la sensazione più bella che quelle persone e quel progetto mi potevano far provare. Ero alla ricerca di questo e l’ho trovato”.

Grazie ragazze e ragazzi per essere stati parte della grande famiglia di Comunità Solidali nel Mondo.

Roma, alla Gelateria Splash in mostra le foto di Marco Palombi

Ancora un’opportunità per fare una piccola esperienza di Africa, per conoscere più da vicino i volti e la forza di donne che abitano a migliaia di chilometri da noi in contesti sensibilmente diversi dai nostri ma che come noi si trovano a fare i conti con le tante prove della vita, e lo fanno esprimendo forza e determinazione, mai rassegnazione.

E’ un viaggio breve e intenso quello che la mostra fotografica di Marco Palombi consente di intraprendere: 21 fotografie che ritraggono alcuni momenti di vita quotidiana, raccontate poi dalla voce dello stesso fotoreporter  in modo semplice eppure profondo. Una manciata di minuti, non di più, che restituiscono non solo le atmosfere di latitudini lontane ma soprattutto l’umanità e la vitalità di un popolo.

Dopo l’esperienza di “Chukuana – Decolonizzare davvero”, il nostro evento che a fine settembre a Roma ha dato occasione di alimentare il confronto e il dibattito sul tema, la mostra fotografica di Marco Palombi basata sugli scatti compiuti nel corso del suo viaggio del maggio 2022 in Tanzania insieme allo staff di Comunità Solidali nel Mondo ha trovato, sempre a Roma, un nuovo spazio di esposizione pubblica. Stavolta è un luogo di passaggio, un posto dove ci si ferma per gustare un buon gelato o un buon caffè, e che con iniziative culturali, corsi e libri, arte e scrittura, è diventato un bel punto di riferimento per il suo quartiere.

Parliamo della Gelateria Splash, locale al numero 102 di via Eurialo: siamo nei pressi della via Appia Nuova, a metà strada fra le stazioni Furio Camillo e Colli Albani della metro A, nella porzione di quartiere compresa fra via Tuscolana, via delle Cave e appunto via Appia Nuova. Una gelateria artigianale con caffetteria Equo & Solidale in cui la titolare Simonetta Cervelli, ex bibliotecaria e anche componente del direttivo del Coordinamento Solidale del VII Municipio, ha voluto uno spazio dove poter ospitare – attraverso la sua associazione AssemblAbili globAli – arte, musica e cultura, per rafforzare i legami di quartiere e dare occasioni di incontro. Le fotografie di Marco Palombi (una selezione di quelle che hanno caratterizzato “Chukuana”) hanno trovato così spazio sui muri della gelateria e possono essere apprezzate fino a venerdì 20 ottobre da tutti coloro che vi entrano. Così come avvenuto per “Chukuana”, chi visita la mostra è aiutato da una audio-guida ad entrare in sintonia con il mondo raccontato in quelle immagini: per ogni foto la voce di Marco Palombi dà una breve descrizione che ne illumina il contesto e le conferisce significato, permettendo di comprendere appieno cosa c’è dietro quegli oggetti, quei volti, quei sorrisi. 

Con l’occasione, è anche possibile fare qualcosa di concreto per aiutare Comunità Solidali nel Mondo: scegliendo una delle immagini della mostra (foto stampate su pannelli forex da 5mm, formato 50×70cm, con stampa a colori su PVC adesivo laminato lucido applicato) e impegnandosi con una donazione, sarà possibile (una volta finita l’esposizione) portarsela a casa, per arredare la propria casa o il proprio ufficio. 

E non solo questo, perché da “Splash” potete trovare anche una selezione di oggetti dell’artigianato solidale: borse, zaini, beauty case, pencil case, porta laptop, pochette, agende e quaderni, grembiuli e portamonete, elastici e sacchettini utilizzabili anche come bomboniere per matrimoni, battesimi e ogni occasione di festa. Tutti oggetti provenienti dalla Tanzania, cuciti e realizzati dalle donne (ma anche dagli uomini) coinvolti nei progetti di imprenditorialità locale: mamme e papà dei bambini con disabilità assistiti dai centri di riabilitazione che apprendono un nuovo mestiere e avviano un proprio percorso lavorativo che dà loro un nuovo ruolo all’interno della comunità (leggi qui per capire meglio dove e come si sviluppa l’artigianato solidale). Con ogni singolo oggetto e con ogni donazione si dà il proprio contributo perché le attività in Tanzania possano proseguire. 

Per i tanti che non vivono a Roma o non potessero comunque raggiungere “Splash”, ricordiamo che l’intera mostra fotografica di Marco Palombi rimane interamente visitabile in forma virtuale sul sito e sulla app di Izy.Travel: le 21 immagini, corredate dall’audio-guida con la voce di Marco Palombi, anche se solo attraverso uno schermo permettono di vivere un’esperienza piccola e intensa aprendo uno spaccato su un mondo capace di trasmettere emozioni positive. Allo stesso modo, anche la scelta degli oggetti dell’artigianato solidale può essere compiuta a distanza, con tutte le informazioni disponibili qui, sul sito di Comunità Solidali nel Mondo

“Chukuana”. La sfida dell’oggi è cancellare il modello dominante adottato finora

Quella che segue è la relazione introduttiva presentata da Michelangelo Chiurchiù, presidente di Comunità Solidali nel Mondo, nel corso del workshop “Chukuana – Decolonizzare davvero”, tenutosi a Roma il 28 settembre 2023.

Parte I. Italiani colonizzatori: una guerra vigliacca e criminale

Prima di parlare di decolonizzazione occorre intendersi su che sia la colonizzazione. Per farlo non andrei a consultare il dizionario ma aprirei con voi il libro di storia al capitolo “Guerra in Abissinia”, per vedere come concretamente noi italiani abbiamo vissuto l’avventura coloniale e come abbiamo interpretato il ruolo di colonialisti.

Anticipo la mia posizione: occorre mettere fine a una sorta di oblio collettivo che fa ripetere a molte persone “Colonialisti noi? No! Italiani brava gente!”. Ritengo sia un nostro dovere morale e civico ricordare a noi stessi e insegnare ai nostri giovani ciò che realmente c’è dentro questa vergognosa pagina della nostra storia. La guerra di aggressione all’Etiopia, giustificata dal ridicolo diritto di “avere un posto al sole”, inizia il 3 ottobre 1935 ma è preparata da almeno 10 anni. Termina ufficialmente il 5 maggio 1936; ma comincia subito una guerriglia portata avanti dagli etiopi che terminerà con la conquista dell’Etiopia da parte degli inglesi nel maggio del 1941.

Alcuni dati. Tra marzo e settembre 1935 arrivarono nel porto di Massaua ben 498 navi italiane per sbarcare: 476.000 soldati; 350 aerei (gli etiopici ne avevano 8); 492 carri armati (gli etiopi 14), 14.500 mitragliatrici (gli etiopi 2000). E sbarcarono anche in un deposito a parte e sotto falso nome 270 tonnellate di iprite e arsine per un impiego ravvicinato;1.000 tonnellate di bombe per aerei caricate a iprite; 60.000 tonnellate di granate per artiglieria caricate ad arsine. Con questa sproporzione di mezzi e di uomini alla fine tra gli italiani ci furono 3800 morti e oltre 8.000 feriti; mentre tra gli etiopi ci furono 275.000 morti su una popolazione di appena 10 milioni di abitanti. Non ci è dato conoscere il numero dei feriti etiopi mentre sappiamo che a seguito della guerra e molto spesso a causa dei gas asfissianti, morirono almeno cinque milioni di buoi e 9 milioni di pecore. Per i superstiti questa strage di animali si riassume in una sola parola: fame!

E’ stata una guerra vigliacca perché in tutto questo è stata determinante l’assoluta superiorità dell’aviazione. Vittorio Mussolini, il figlio del Duce pilota di un aereo, pubblica un libro autobiografico “Voli sulle Ambe” che va a ruba (come quello del generale Vannacci) e scrive: “Era un lavoro divertentissimo e di un effetto tragico ma bello. C’era una grossa zeriba circondata da alti alberi non riuscivo a colpirla bisognava centrare bene il tetto di paglia e solo al terzo passaggio ci riuscii; quei disgraziati che stavano dentro, saltavano fuori scappando come indemoniati. Così in quei due giorni tutto l’AdiAbòfu in fiamme…

Oltre che vigliacca è stata una guerra criminale perché condotta in spregio ai trattati internazionali come quello che proibiva l’uso dei gas che tra l’altro l’Italia aveva ratificato il 3 aprile 1928. E invece l’uso dei gas, su espresso ordine di Mussolini, in Etiopia fu fatto su larga scala proprio per piegare la resistenza e la guerriglia etiope. Indicativa la testimonianza di un capo etiope ripresa dalla denuncia dell’imperatore Hailè Selassiè: “Era la mattina del 23 dicembre 1935 quando comparvero nel cielo alcuni aeroplani che lanciarono strani fusti che si rompevano appena toccavano l’acqua del fiume e proiettavano attorno un liquido incolore. Alcune centinaia fra i miei uomini rimasti colpiti dal misterioso liquido urlavano per il dolore mentre i loro piedi nudi, le loro mani, i loro volti si coprirono di vesciche. Altri che si erano dissetati al fiume si contorcevano a terra in un’agonia che durò ore…”

Mussolini non autorizzò soltanto il criminale uso dei gas ma diede anche indiscutibili indicazioni sul metodo. Cito un telegramma, il numero 8103, raccolto e classificato dallo storico Angelo del Boca, inviato da Mussolini a Graziani l’8 luglio 1936, dunque a guerra formalmente conclusa: “Autorizzo ancora una volta Vostra Eccellenza a iniziare e condurre sistematicamente la politica del terrore e dello sterminio contro i ribelli e le popolazioni complici. Senza la legge del taglione al decuplo non si sana la piaga in tempo utile. Attendo conferma”.  Avete sentito bene: la legge del taglione al decuplo vuol dire che per un italiano che muore devono essere uccisi 10 etiopi. Siamo nel 1936, otto anni esatti prima delle Fosse Ardeatine. Uno storico molto acutamente mi faceva notare come quello che si sperimenta nelle colonie poi viene utilizzato su vasta scala nelle guerre successive.

E il viceré Graziani applica alla lettera il metodo del terrore. Nel febbraio del ‘37 a seguito dell’attentato alla sua persona, Graziani autorizza per 3 giorni la più furiosa sanguinosa caccia al nero che il continente africano abbia mai visto. Alcune migliaia di italiani civili e militari escono dalle loro case dalle loro caserme e armati di randelli di spranghe di ferro e abbattono chiunque – uomo, donna, vecchio, bambino – inquadrano sul loro cammino nella città foresta di Addis Abeba. Dal secondo giorno più sbrigativamente cospargono le capanne di benzina e poi le incendiano con gli occupanti lanciando una bomba a mano.  30.000 etiopi massacrati. Nel marzo 1937 il clero Cristiano- Copto,sulla base di sospetti infondati, venne accusato di fomentare la guerriglia. Su ordine di Graziani oltre 2000 tra monaci, giovani seminaristi, insegnanti di teologia, e sacerdoti del Convento di Deborah Libanòs vengono portati sulla riva del fiume e mitragliati…

Mi sono dilungato su questo pezzo di storia perché occorre ricordare a chi in modo cattivo e ipocrita si scaglia contro gli immigrati che invadono le nostre coste, che noi abbiamo calpestato per primi e in modo non pacifico le terre da cui oggi loro provengono. Noi per primi abbiamo invaso e ucciso.

Parte II. Il dibattito sulla decolonizzazione

Il dibattito sulla decolonizzazione è vivo nel mondo anglosassone perché è lì che si è avuto il coraggio di affrontare la memoria storica della colonizzazione, delle nefaste conseguenze di questa parte di storia nelle relazioni internazionali. E’ ciò che modestamente vorremmo contribuire a fare anche noi a partire dai lavori di oggi pomeriggio. E’ ora di parlare di decolonizzazione per almeno quattro ragioni. Accenno soltanto per titoli.

  1. I giovani africani alzano la testa: sono imperiosi. Chi ha fatto esperienza di questa rivendicazione di indipendenza nei confronti del mondo occidentale non può dimenticare. Io l’ho fatta e non è piacevole: dopo aver lavorato nei progetti per avviare attività e costruire iniziative si percepisce (quasi mai viene espresso a voce): “Adesso torna a casa tua!”
  1. La crescente disuguaglianza tra nord e Sud globale. Tra il 1980 e il 2002 la diseguaglianza tra i Paesi è cresciuta: il 75% dei poveri si trova nei paesi classificati e medio reddito. La ricchezza è concentrata su élites più ristrette: l’1% del mondo detiene il 52% delle ricchezze e il 5,5% delle ricchezze è quello che resta per l’80% della popolazione.
  1. C’è un dato che è per lo più nascosto e che invece va rilevato. Da una ricerca delle Università americane e ben argomentato nel libro di Dambisa Moyo “La carità che uccide”, dal 1946 ad oggi dall’occidente (Europa e Stati Uniti) sono stati erogati ai Paesi africani in forma di aiuti un trilione di dollari: un miliardo di miliardi di dollari! Una cifra spropositata, ma che dà la misura della complessità del problema. C’è stata l’incapacità delle classi dirigenti africane, ma qui vorrei sottolineare le responsabilità che hanno le grandi istituzioni mondiali – la Banca Mondiale, il Fondo monetario Internazionale, il WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio) – che assumono decisioni e offrono il proprio sostegno esclusivamente sulla base degli interessi dei Paesi Occidentali. Siamo abituati a leggere distratti e con distacco le notizie di decisioni che assumono questi organismi internazionali convinti che le stanze dei bottoni siano troppo distanti per poter intervenire. Eppure noi ONG, noi operatori del settore dobbiamo essere consapevoli che ci troviamo davanti a una tragica “Tela di Penelope”: quello che di buono e significativo – anche se piccolo – riusciamo a tessere e costruire di giorno viene dissipato e lacerato di notte dalle scelte e dalle decisioni di questi organismi sopra le nostre teste. Ne fanno le spese e gli investimenti nella sanità, nella scuola, nei servizi dei paesi del Sud. Ne fanno le spese soprattutto i poveri, quelli dimenticati nelle periferie delle metropoli e nei villaggi delle savane senza servizi.
  1. Infine una parola sulle nostre ONG. Qual è il ruolo che dobbiamo giocare nella partita della decolonizzazione? I nuovi criteri per la progettazione e lo sviluppo dei progetti con l’introduzione della teoria del cambiamento danno una dimensione chiara al nostro operato per cui l’obiettivo è il cambiamento strutturale, non la realizzazione di singole attività. Il cambiamento strutturale comporta il coinvolgimento organico dei nostri partner, il dialogo anche complesso con le Istituzioni locali, la difficile faticosa strada dell’accompagnamento verso l’autonomia della gestione e della sostenibilità futura. L’accompagnamento significa sapere sempre stare un passo indietro per restituire responsabilità e competenze per permettere anche di sbagliare… Perché il più delle volte si impara solo quando si è liberi di sbagliare.

Parte III. La sola possibilità che ci resta

Vorrei dare infine una personalissima interpretazione della decolonizzazione. Gli uffici studi dell’ONU hanno inviato al G20 dello scorso anno una nota in cui si evidenziano alcuni dati demografici su scala mondiale. L’Europa che attualmente ha 440 milioni di abitanti fra 30 anni ne avrà 400: meno 40 milioni. L’Africa subsahariana che attualmente è abitata da 1 miliardo e 250 milioni persone tra 30 anni ne avrà due miliardi e 500 milioni di cui 900 milioni saranno giovani sotto i 24 anni: complessivamente 750 milioni di africani in età lavorativa. Questa massa di giovani in situazioni di povertà radicale, di insicurezza nelle questioni sanitarie, di crisi alimentari dovute anche ai cambiamenti climatici, questi giovani prima di morire nel proprio villaggio o nelle grandi metropoli tenteranno il tutto per tutto e cercheranno, a tutti i costi, una vita migliore, un’alternativa. Quale? La terra che sta di fronte ai loro occhi!

Non basterà avere un Mediterraneo disseminato di mine, di navi in assetto di guerra…  non avendo nulla da perdere questa massa di giovani alla fine andrà a riempire i vuoti lasciati nei nostri paesi abbandonati nei quartieri delle nostre città con le culle vuote e popolate per il 40% da anziani oltre 70 anni. Allora la frittata si rigirerà e saremo noi a poggiare la schiena sulla padella che scotta: e gli altri sopra. La nostra classe dominante avrà un colore della pelle diverso dal nostro e avrà un’altra cultura!

Per rendere fondato questo scenario vorrei evidenziare altri due elementi.

Il primo: la volontà ferrea di tanti giovani africani e del Sud globale che noi abbiamo incontrato e incontriamo nelle nostre attività che sono determinati a uscire dalla propria condizione di povertà; giovani che sanno stringere i denti, che lavorano senza guardare l’orologio, che non hanno paura di soffrire pur di raggiungere i loro obiettivi.

Il secondo ce lo insegna la storia. Dal IV secolo dopo Cristo, con la crisi anche demografica e dei costumi dell’Impero Romano, i popoli del nord, vitali, desiderosi di nuove terre oltrepassano i confini così accuratamente segnati dai legionari e occupano gli spazi lasciati vuoti. A scuola ce le hanno insegnate come“invasioni barbariche” ma più correttamente dovremmo imparare a chiamarle “trasmigrazioni dei popoli”: sono i Longobardi, i Bizantini e tutti gli altri popoli che hanno imparato dai legionari romani il metodo della conquista, della occupazione e della aggressione violenta. E ripagano con la stessa moneta! Questi popoli danno origine alla  Nuova Europa. Io sono convinto che è questo lo scenario che dobbiamo prevedere con la differenza che la “trasmigrazione” stavolta non verrà dal nord ma dal sud! 

E la decolonizzazione che c’entra? Abbiamo una sola possibilità perché questa trasmigrazione non si traduca in un evento traumatico e violento per i nostri figli, i nostri nipoti e per la nostra civiltà: costruire fin d’ora, da subito, un modello di convivenza e di collaborazione organico con il Sud globale per cancellare, far dimenticare il prima possibile, il modello di prevaricazione e di dominazione imperiale che abbiamo adottato finora.

In tutto questo sento di stare in buona compagnia: don Milani la pensava più o meno allo stesso modo! Fatte le dovute proporzioni – non sono degno neanche di allacciare le scarpe a don Milani –  nell’ ultima pagina del suo capolavoro “Esperienze pastorali”egli suppone che nel 2954 (fra mille anni!) il Vescovo della Diocesi di Firenze sia cinese e scrive una “Lettera dall’oltretomba – Riservata e segretissima ai missionari cinesi” in cui prefigura il crollo violento del nostro sistema ad opera di altri popoli (che siano cinesi o africani poco importa!). E chiede scusa:

“Cari e venerati fratelli, voi certo non vi saprete capacitare come prima di cadere noi non abbiamo messa la scure alla radice dell’ingiustizia sociale. Sulla soglia del disordine estremo mandiamo a voi quest’ultima nostra debole scusa… 
Non abbiamo odiato i poveri come la storia dirà di noi. 
Abbiamo solo dormito. 
Quando ci siamo svegliati era troppo tardi. I poveri hanno già partiti senza di noi. 
Insegnando ai piccoli catecumeni bianchi la storia del lontano 2000 non parlate loro dunque del nostro martirio. Dite loro solo che siamo morti e che ne ringrazino Dio.
Essere uccisi dai poveri non è un glorioso martirio….
A voi missionari cinesi, figlioli dei martiri, il nostro augurio affettuoso
(Un povero sacerdote bianco della fine del secondo millennio.)

I profeti, si sa, sono sempre scomodi ma ci aiutano a vedere oltre e a risvegliare le nostre coscienze. E’ l’augurio che vorrei condividere con tutti voi, prima che sia troppo tardi.

“Chukuana”, tutta la riflessione tra decolonizzazione e partnership paritaria

ROMA – La condizione attuale del continente africano, le disuguaglianze in crescita, la migrazione dei popoli del sud verso il nord del mondo. Gli effetti a lungo termine del colonialismo europeo, il fallimento delle élites africane, l’azione e il ruolo svolto dalle organizzazioni non governative, la richiesta di autonomia e indipendenza proveniente dai partner locali che chiama le stesse ong ad una risposta non semplice ma necessaria. La riflessione sulla decolonizzazione e sul futuro della cooperazione internazionale è stato il filo conduttore di “Chukuana”, la tre giorni voluta da Comunità Solidali nel Mondo per favorire il confronto e lo scambio culturale e pratico sul tema (qui il riassunto dell’evento). Un approfondimento concentratosi in modo particolare nel workshop di giovedì 28 settembre, moderato da Roberto Natale (Rai) e trasmesso in diretta Facebook sulla pagina di ComSol (vai al video e segui l’intero workshop). Eccone qui di seguito un’ampia sintesi testuale.

Anche l’Italia è stata colonialista: chiamati a far dimenticare prevaricazione e dominazione

Nel su‌o intervento introduttivo Michelangelo Chiurchiù, presidente di Comunità Solidali nel Mondo, indica la necessità di mettere fine a quella sorta di oblio collettivo che ha cancellato una vergognosa pagina della storia italiana: la guerra di aggressione, vigliacca e criminale, combattuta in Etiopia nel 1935-36. Chiurchiù ha poi ricordato la crescente disuguaglianza fra nord e sud globale; la rivendicazione di indipendenza verso il mondo occidentale che esprimono sempre più convintamente i giovani africani; il ruolo nefasto giocato da grandi istituzioni mondiali (Banca Mondiale, Fmi, Wto) che agiscono sulla base degli interessi dei paesi più forti; il ruolo delle ong sul campo, chiamate a perseguire l’obiettivo del cambiamento strutturale, il che implica il pieno coinvolgimento delle comunità e una partnership paritaria. Di fronte alle condizioni strutturali del mondo e all’evoluzione demografica, assisteremo in futuro ad una massiccia trasmigrazione dei popoli dal sud al nord del mondo. “Abbiamo una sola possibilità che questa trasmigrazione – afferma Chiurchiù – non si traduca in un evento traumatico e violento per i nostri figli, i nostri nipoti e per la nostra civiltà: costruire fin d’ora, da subito, un modello di convivenza e di collaborazione organico con il Sud globale per far dimenticare il prima possibile il modello di prevaricazione e di dominazione imperiale che abbiamo adottato finora”.
LEGGI QUI LA RELAZIONE INTEGRALE.

L’Italia, una società con un male oscuro che non sa fare i conti con il passato e con le migrazioni

Lo storico africanista Sandro Triulzi ha sottolineato come sia “raro” che nell’ambito della cooperazione allo sviluppo sia messo a tema il problema coloniale: del resto è l’intero paese – dice – che “non ha ancora iniziato una sua vera decolonizzazione”. C’è una ragione storica che almeno in parte spiega questo: il fatto che l’Italia abbia dovuto rinunciare a colonie e possedimenti già con il Trattato di pace del 1947, il che ha significato “non vivere direttamente il processo di decolonizzazione dei decenni successivi, e quindi non passare per il confronto con i movimenti di liberazione, per l’esigenza della formazione di classi dirigenti africane, più in generale per quell’atto di coscienza collettiva che costituiva il prendere consapevolezza della perdita dei territori coloniali”. Non bastò, per tutto questo, neppure il periodo decennale (dal 1950 al 1960) di amministrazione fiduciaria della Somalia che le Nazioni Unite assegnarono all’Italia fino all’indipendenza di quel paese.

Anche tutto ciò ha causato “l’assenza di un dibattito pubblico sul colonialismo che perdura ancora oggi” e che è tanto più grave quanto più consideriamo che “la società italiana è stata permeata dalla mentalità colonialista propagandata durante il ventennio fascista”, secondo la quale gli africani erano inferiori a noi e non sarebbero mai potuti essere come noi: il ritenere inconcepibile la parità fra le persone è “il male oscuro della nostra società”, un senso di dominio e di superiorità che non ammetteva che un nero potesse far parte della nazione. “Confini nazionali e linea del colore – afferma Triulzi – culturalmente coincidevano e in buona parte coincidono ancora oggi: e la nostra è infatti una società che non riesce a fare i conti con le migrazioni. E’ un immaginario collettivo profondo che solo le nuove generazioni iniziano a rifiutare”.

Le ong sono una parte della soluzione al problema migratorio. “Far entrare la campagna 070 nell’agenda politica”

Sul ruolo della cooperazione internazionale e sul contesto concreto nella quale essa opera si concentra Ivana Borsotto, presidente di Focsiv (Federazione degli organismi di volontariato internazionale di ispirazione cristiana): “Il nostro – dice nel suo intervento – è un mondo in cui milioni di persone fuggono da siccità, carestie, soprusi, violazioni dei diritti umani; è un mondo nel quale non ha funzionato l’esportazione della democrazia e anzi la democrazia è tanto più fragile e debole quanto più non riesce a rispondere alle richieste di benessere, giustizia e uguaglianza; è un mondo in cui si registrano i limiti di un’idea di sviluppo fondata solo sul commercio e sul mercato, e in cui il mercato si propone per trovare soluzioni a problemi creati dal mercato stesso. La cooperazione si muove in questo mondo sempre più faticoso, in cui i problemi di ciascuno sono i problemi di tutti e in cui le soluzioni possono essere solo globali”.

“Noi che facciamo cooperazione e abbiamo i piedi ben saldi nel terreno vediamo l’avversità e l’ostilità che i giovani africani maturano nei confronti dell’Europa: ma del resto – afferma la presidente Focsiv – mandiamo loro i nostri rifiuti, facciamo accordi con i loro dittatori, non li salviamo quando stanno affogando e non diamo loro alcun modo di entrare in Europa…”. La decolonizzazione – argomenta Borsotto – è chiaramente un tema collegato alla migrazione, che è un diritto. Ma le politiche migratorie sono efficaci se iniziano dal paese di partenza: questa è l’importanza della cooperazione, che costruisce i percorsi, che nasce per condividere analisi e far nascere politiche locali. E in questo senso le ong possono essere parte della soluzione del problema, perchè essendo presenti nei paesi di partenza possono informare, formare e preparare i percorsi migratori. E’ il lavoro della migrazione consapevole”. 

Gli equilibri demografici mondiali – sostiene Borsotto – raccontano già il futuro che sarà: “Chi sta in Africa, America Latina e Asia ha oggi un’altra consapevolezza. L’energia, la forza, la speranza, sono lì. Noi siamo ormai un piccolo ospizio che si apre su un’immensa scuola media o scuola superiore. Ci sarà un momento in cui la decolonizzazione avverrà per irrilevanza, la nostra”. In questo contesto “possiamo ancora scegliere se svolgere un ruolo attivo in questo processo e il rispettare la parola ripetutamente data dovrebbe essere il primo obiettivo”. Il riferimento qui è all’obiettivo di destinare lo 0,70% della nostra ricchezza nazionale a sostegno di obiettivi di sviluppo. “La campagna 070 – afferma la presidente Focsiv – mira a far entrare questo impegno internazionale nell’agenda politica del nostro paese: vogliamo dialogare, con una postura di totale e assoluta fiducia nelle Istituzioni e nei partiti, per far sì che ci si assuma questo obiettivo, peraltro in modo graduale (mancano all’appello circa 5 miliardi, sappiamo che sono necessari più anni per riuscirci)”. In secondo luogo, dice, “bisogna essere consapevoli che la cooperazione internazionale rappresenta un pezzo di welfare dell’Africa, che crea opportunità di lavoro, che aiuta la creazione di sistemi scolastici e sanitari più forti: occorre raccontare meglio tutto ciò e passare sempre più da una grammatica dei diritti alla pratica quotidiana degli stessi”.

La sfida della decolonalità e l’importanza della partnership nella natura profonda delle ong

Dal canto suo Francesco Petrelli, responsabile Relazioni internazionali di Oxfam Italia, sottolinea la necessità di rilanciare l’impegno delle ong proprio nel momento in cui si avvertono le tante difficoltà del tempo presente: per farlo serve – dice – anzitutto un “grande lavoro di tipo culturale, anche teorico e sistematizzato, basato sulla pratica e quindi su quello che facciamo, sui successi, sugli insuccessi, anche sugli errori”; in secondo luogo occorre avere la “consapevolezza del rapporto di potere asimmetrico” che al di là delle intenzioni esiste rispetto ai paesi in via di sviluppo, e infine bisogna evidenziare l’elemento che contraddistingue le ong, cioè la partnership, la natura di organizzazione che agisce insieme alle comunità locali”. Un modo di agire su un piano di parità che comporta anche la possibilità della critica e che si sviluppa insieme alle comunità, in modo responsabile e proattivo.

Oltre al processo di decolonizzazione storica – sottolinea Petrelli – c’è bisogno di “vivere un processo di decolonialità, cioè di uscita da quella prospettiva di superiorità che ha determinato culturalmente gli eventi storici e che ha imposto di fatto un sistema di disuguaglianza, a volte interiorizzata perfino da quegli individui e da quelle popolazioni che erano state colonizzate”. Il colonialismo cioè non ha comportato solo violenza territoriale, economica e politica, ma anche una violenza culturale che richiede oggi il recupero degli elementi di buona pratica presenti nelle culture tradizionali. Tenere in debito conto le pratiche tradizionali e locali non significa, peraltro, non rendersi conto che “ve ne sono alcune esclusive e discriminatorie, capaci di riprodurre e perpetuare la struttura della colonialità”. 

Il lavoro da fare dunque è quello di progettazioni dentro una cooperazione diversa, decolonizzata, in cui la parola chiave è la partnership e lo sviluppo (visto come un processo) deve mobilitare il capitale sociale esistente e avere al centro la ownership, la capacità di autodeterminazione delle persone, il determinarsi il proprio destino e il proprio futuro. Un’esigenza che vale dappertutto, ad ogni latitudine. La decolonizzazione – sintetizza Petrelli – è stata quella dei nostri padri, la decolonialità riguarda noi nel nostro prossimo futuro: una sfida complicata ma inevitabile”. 

Le ong italiane in Tanzania: l’importanza del trasferimento delle abilità ai referenti locali

Arriva dalla Tanzania il punto di vista di Senga Pemba, docente di Salute pubblica all’Università Sfuchas (St. Francis University College of Health and Allied Sciences) di Ifakara, partner in un progetto di Comunità Solidali nel Mondo. Nel suo contributo, dopo aver tracciato uno spaccato della colonizzazione europea (tedesca e britannica) in Tanzania, Pemba spiega che per superare l’approccio post coloniale i paesi africani dovrebbero “rafforzare l’unità del loro continente” e avviare relazioni reciproche, “promuovendo sistemi politici eletti democraticamente” e “passando da sistema economici che dipendono quasi esclusivamente dall’agricoltura ad economie industriali che permettano di aggiungere valore e aumentare l’ingresso di valuta estera”. Riguardo alle ong italiane attive nel paese, il professore auspica che esse prendano in considerazione “gli effettivi problemi e le reali esigenze” del paese con “un’agenda adeguata, mirata e chiara di interventi” che “devono essere trasparenti rispetto ai progetti e alle risorse”. E’ “apprezzabile – aggiunge – il loro impegno a lavorare in luoghi difficili da raggiungere” ed è fondamentale la loro capacità di “essere in grado di lavorare sul versante della capacity building”, quindi dello sviluppo delle capacità dei referenti locali e del trasferimento delle abilità e conoscenze alle popolazioni locali”. 

La gravità della questione alimentare: in Africa crescono fame e povertà. “Il cibo è disponibile ma non è accessibile”

A scattare una fotografia concreta della condizione attuale del continente africano e della gravità della questione alimentare è Pasquale De Muro, economista, docente di Economia dello sviluppo umano all’Università Roma Tre: “Più di 700 milioni di persone nel mondo – dice – non hanno il necessario cibo quotidiano, non assumono cioè le calorie necessarie per una corretta crescita e per un corretto vivere. Mentre assistiamo alla diminuzione globale di un altro fenomeno, quello della povertà, il numero degli affamati non solo non diminuisce ma dal 2014 ad oggi è cresciuto e la gran parte di questo aumento si riferisce proprio all’Africa, che è inoltre l’unica area mondiale in cui cresce anche il numero delle persone in povertà. Si tratta – scandisce De Muro – di un gravissimo fallimento (del quale peraltro si parla molto poco) della comunità internazionale, dei governi, delle agenzie internazionali e della stessa società civile: non siamo riusciti ad invertire questa tendenza”. “La vera emergenza riguardo all’Africa non è allora – incalza l’economista – quella dei migranti, ma quella della crescita della povertà e della denutrizione, che è una piaga sociale che distrugge non solo la salute delle persone, ma il tessuto sociale e tutte le relazioni interpersonali, provocando danni a lungo termine e negando il futuro ad un’ampia fetta del continente. E a soffrirne oggi sono soprattutto donne e bambini”.

E il problema non è – come si potrebbe pensare – la scarsità di cibo: “I dati ufficiali ci dicono che sull’intero pianeta ogni singolo abitante ha a disposizione, al netto anche degli sprechi, circa 3.000 calorie, una quota sensibilmente maggiore delle 1.800 – 2.000 calorie che mediamente rappresentano il fabbisogno quotidiano di una persona. Nei fatti il cibo c’è, è disponibile ma non è realmente accessibile”. 

Perché? “C’è un elemento di ingiustizia sociale – dice De Muro – al quale è associato un altro problema, quello del modo in cui è costruito il sistema alimentare mondiale: il metodo della produzione è insostenibile e sfrutta la base agricola alimentare del pianeta in modo tale che distrugge più di quanto produce”. La responsabilità di questa situazione è diffusa, ma certamente è grande quella delle industrie dell’agri-business, che gestiscono la produzione, la trasformazione e la distribuzione delle materie alimentari. Un sistema che detta le regole del gioco, imponendosi anche ad organizzazioni sovranazionali come la Fao, peraltro essa stessa espressione di alcuni governi potenti che cercano principalmente i loro interessi. “Il sud del mondo opera ancora seguendo modelli occidentali, quindi neo-coloniali: uno sviluppo agricolo fondato sulla coltivazione e sull’allevamento intensivo, con un alto uso di prodotti chimici e un’idea della produttività a breve termine che non tiene conto né della sostenibilità né della necessità di garantire un accesso al cibo su scala mondiale”. 

“In questo contesto – afferma De Muro – occorre essere consapevoli che alcuni governi usano la cooperazione allo sviluppo per fare politica estera, e questo si chiama neocolonialismo. Lo fanno gli Stati Uniti, la Francia, la Germania, e molti altri, e lo fa anche l’Italia quando afferma che nel fare cooperazione vi sono un gruppo di paesi ‘prioritari’, che non sono i più bisognosi ma quelli verso i quali gli italiani hanno un interesse politico ad una maggiore presenza economica”. 

In Africa una forte frustrazione sociale: serve una classe politica che sappia ‘obbedire’ al popolo

A completare l’analisi con una valutazione della situazione attuale dell’Africa è Jean-Léonard Touadi, politico, saggista e accademico, già parlamentare italiano e oggi consulente della Fao. Secondo il docente congolese i recenti colpi di Stato (Niger e Gabon la scorsa estate, in totale otto negli ultimi tre anni) non sono altro che “l’inizio di una serie di cambiamenti che investiranno un continente alle prese con la frustrazione sociale, economica e politica dei loro popoli”, inchiodati ad una “doppia solitudine”, quella “di popoli soli di fronte ai meccanismi internazionali della globalizzazione” e al tempo stesso “soli anche di fronte alle loro élites”.

Le speranze suscitate dopo la caduta del muro di Berlino dai processi di democratizzazione, alimentati dalla richiesta della società civile africana di conferenze nazionali per “inventare un’Africa nuova”, sono state – dice Touadi – “confiscate dalle élites che hanno instaurato processi di democratizzazione senza democrazia, senza trasparenza e senza alternanza”. “Oggi siamo alle prese con le conseguenze del fallimento totale di quella esperienza: c’è una chochardizzazione di massa delle popolazioni africane, sempre più affamate, e non c’è stato un progresso significativo nell’accesso alla soddisfazione dei bisogni essenziali, non c’è stata cioè l’uscita dal regno di necessità”. Ecco così che “oggi i popoli sono stufi delle loro élites ma anche dei paesi occidentali che quelle élites hanno incoraggiato e protetto. La società africana esprime una grande rabbia, come altre volte è successo: spero – auspica Touadi – che stavolta il sentimento anti-francese manifestato di recente, e in generale quello anti-occidentale, possa diventare energia per inventare un continente diverso dove la democrazia inizi dalla soddisfazione dei bisogni essenziali. Serve una leadership politica nuova che sia obbediente ai loro popoli, cioè che si ponga in ascolto profondo dei loro popoli, come in passato hanno fatto Thomas Sankara (Burkina Faso), Julius Nyerere (Tanzania) e pochi altri”. 

“Decolonizzare – prosegue Touadi – significa anche aiutare gli africani a prendere coscienza della loro parte di responsabilità in ciò che non ha funzionato in questi 60 anni, ma non credo che il mondo post-occidentale che abbiamo davanti debba essere un mondo senza l’Occidente: deve essere un mondo con un altro Occidente, portatore dei suoi valori secolari e del suo patrimonio, ma in grado di guardare l’altro negli occhi, di stargli accanto, condividendo insieme il pane”.

“In tutto questo il ruolo delle ong è importante – sostiene – perché esse sono interlocutori dei governi ma partner dei popoli e delle comunità: la cooperazione potrebbe continuare a fare ciò che già fa dedicando però un pezzo della sua presenza alla formazione di una classe politica nuova capace di captare le istanze più profonde di un popolo che chiede una democrazia come soddisfazione dei bisogni essenziali. Dedicare tempo quindi alla creazione di una classe politica nuova che possa restituire l’Africa a se stessa”. “Credo nella cooperazione – argomenta ancora Touadi – come strumento in grado di creare spazi di contaminazione interculturale, a cominciare da una cultura comune fra Europa e Africa che sia capace di decodificare il nostro passato fatto di ingiustizie, di dominio e di oppressione, ma capace anche di rendersi conto che nessun popolo, né in Africa né in Europa, è in grado di vivere della sola preservazione di sé. C’è uno spazio da costruire e lo si costruisce – conclude con una nota di speranza Touadi – non a partire dalle istituzioni ma a partire dalla buona volontà delle persone che esistono sia in Africa che in Europa”.

La variabile del tempo e il protagonismo politico della società civile

Nelle sue conclusioni, il presidente di ComSol Michelangelo Chiurchiù sottolinea alcuni spunti: anzitutto il fatto che la proposta (da accogliere) di includere nella dirigenza delle ong i partner locali, in modo da co-gestire la cooperazione, rappresenta un accompagnamento faticoso. Il tempo è infatti una variabile culturale di grande peso: “Per noi spesso è più facile dire ‘Lo faccio io, faccio prima’. ma i nostri amici africani, sudamericani o asiatici hanno bisogno di tempo”. Una discriminante, questa, di cui tenere conto per non rischiare di bruciare il percorso di accompagnamento. Chiurchiù rimarca inoltre l’importanza della formazione di una classe dirigente locale, non solo politica ma ad esempio sanitaria: azione che i progetti di ComSol portano avanti per dare strumenti che permettano di agire in continuità. “Dobbiamo ridare protagonismo politico alla società civile, per favorire una politica che sia più vicina ai poveri e agli invisibili”, dice il presidente di ComSol invocando una sana alleanza tra le università, la società civile, la diaspora e i mass media.

LEGGI DI PIU’ SU CHUKUANA

“Chukuana”, pensieri e immagini: i tre giorni che abbiamo vissuto insieme

ROMA – Il ricordo del passato, l’analisi del presente, lo sguardo verso il futuro. Con il messaggio di fondo che vale davvero la pena, e conviene a tutti, “aiutarsi reciprocamente” (“chukuana”, in lingua swahili). La tre giorni di iniziative (“Chukuana – Decolonizzare davvero”) voluta a Roma da Comunità Solidali nel Mondo per riflettere sulla decolonizzazione e comprendere il futuro della cooperazione internazionale e della presenza delle ong nelle terre dell’Africa, dell’America del Sud e dell’Asia, lascia sul tavolo tante considerazioni e la consapevolezza di quanto sia necessario proseguire nel difficile lavoro di relazione stretta con le comunità dei paesi nelle quali si sviluppano i programmi di cooperazione. La riflessione sulle disuguaglianze mondiali e sul fenomeno migratorio, gli interventi di accademici, giornalisti e rappresentanti della società civile, le fotografie di Marco Palombi con le loro calde atmosfere africane, le domande e le considerazioni dei giovani diciottenni intervenuti hanno caratterizzato i tre giorni, dal 27 al 29 settembre 2023, ospitati nella Capitale alla Casa del Municipio I Roma Centro. 

La mostra fotografica: immagini di una comunità

Sui muri i pannelli con gli scatti scelti da Marco Palombi fra quelli raccolti nel suo viaggio in Tanzania insieme a Comunità Solidali nel Mondo: soprattutto foto di donne che faticano, che si prendono cura e che sorridono. “Sono entrato in molte case – ha raccontato il fotoreporter – e ho visto la forza delle donne, mai la rassegnazione. Sono entrato in punta di piedi in contesti difficili dove fotografare era spesso fuori luogo. Ho domandato il permesso di farlo, perché anche così si pratica la decolonizzazione. Ho visto e ascoltato persone che fanno fatica a dare un pasto al giorno ai propri figli. Lì è fortissimo il senso di comunità, lo stare insieme nelle difficoltà, aiutarsi sempre: ho assistito davvero all’aiutarsi reciprocamente”. La mostra fotografica, che dopo i tre giorni di Roma è ora visitabile in forma virtuale sul sito e sulla app di Izy.Travel, ha rappresentato il filo comune dell’evento e ha anche contribuito  ad una raccolta fondi per le iniziative di ComSol (attraverso la vendita delle immagini montate su pannelli forex da 5mm, formato 50×70cm, stampa a colori su PVC adesivo laminato lucido applicato). 

Una bussola per il futuro: gli incontri con i giovani

Sugli scatti si sono soffermati anche gli studenti e le studentesse che hanno animato gli incontri mattutini di giovedì 28 e venerdì 29: presenti le classi V dell’Istituto di Istruzione Superiore “M. Amari – P. Mercuri” di Ciampino (Liceo Artistico e Istituto Tecnico settore Economico e settore Tecnologico). I ragazzi e le ragazze hanno ascoltato le parole di Marco Palombi, il racconto dei viaggi e del dietro le quinte, lo spirito con il quale ci si muove in contesti diversi, e anche con l’aiuto dei giornalisti Chiara Nardinocchi e Carlo Ciavoni (la Repubblica) si sono soffermati sulle cause della disuguaglianza mondiale, sulle responsabilità storiche e attuali dell’Europa e su quelle degli attuali governi africani.

Si è ricordato che occorre da un lato prendere consapevolezza del fatto che esiste un movimento in tutta l’Africa che vede i giovani protagonisti e che reclama autonomia e indipendenza, e dall’altro lato che il problema non è solamente quello del malgoverno e della malagestione (che pure è presente ed attanaglia molti paesi africani, guidati da élites che non si sono dimostrate in grado di operare per il bene dei propri popoli) ma anche quello dei meccanismi che governano l’intero sistema internazionale, ad iniziare dagli organismi sovranazionali (Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale) e dai criteri che governano le loro scelte.

“Per rendere più umana la convivenza fra gli Stati e quindi fra i popoli – ha detto Ciavoni – è necessario trasformare le regole che determinano lo stato di cose, odioso e insopportabile, che osserviamo nel mondo: disuguaglianze rispetto alle quali il rischio è quello di assuefarsi, come se fossero inevitabili. Deve essere viva in noi – ha esortato – la consapevolezza che, ad esempio, le regole del commercio internazionale sotto l’egida del Wto (Organizzazione mondiale del commercio) concorrono a perpetuare la situazione esistente, mantenendo intere aree del pianeta sotto un dominio di fatto post-coloniale”. “Le soluzioni ai problemi che stiamo affrontando sono sempre complesse – ha puntualizzato ai ragazzi il presidente di ComSol, Michelangelo Chiurchiù – e non esistono soluzioni facili: bisogna diffidare da chi le presenta così e studiare molto per trovarle e individuarle”.

I giovani presenti si sono potuti confrontare in diretta video anche con i cooperanti di Comunità Solidali nel Mondo presenti in Tanzania. Lo stile di vita, il rapporto con la comunità locale e l’importanza della relazione paritaria, le caratteristiche del servizio svolto, le motivazioni di fondo che hanno portato alla scelta personale di diventare cooperante, l’opportunità per tutti i ragazzi fra 18 e 28 anni di vivere l’esperienza del Servizio Civile Universale (anche all’estero), questi i tanti ingredienti del loro confronto diretto.

La riflessione teorica e pratica su colonialismo e decolonizzazione

Concentrata nei due appuntamenti pomeridiani (l’inaugurazione della mostra mercoledì 27 e il workshop giovedì 28) la riflessione teorica e pratica sull’esperienza coloniale e sulla ancor oggi necessaria decolonizzazione, per una cooperazione allo sviluppo che sappia porsi su un piano paritario con le comunità locali. 

“La colonizzazione intesa come conquista di un territorio – ha fatto notare Giovanni Ruocco, professore associato di Pensiero politico all’Università ‘La Sapienza’ di Roma – è un gesto molto umano: le persone si spostano da sempre e cercano luoghi dove poter vivere meglio. La colonizzazione del periodo moderno, che deve molto del suo successo alla tecnologia, ha aggiunto a ciò un elemento ideologico di superiorità, dispiegandosi intorno all’esercizio di un potere che è diventato dominio. Il colonialismo, in questo senso, è proseguito anche dopo la dichiarazione di indipendenza delle nazioni africane, perpetuando le stesse regole e la stessa logica che aveva caratterizzato il periodo precedente. Come si rompe questo meccanismo? Misurandosi con gli altri, instaurando relazioni paritarie. Le politiche di aiuto e di cooperazione – ha sostenuto Ruocco – non usciranno dalla mentalità coloniale se non cambiando questo approccio. Come operatori della cooperazione internazionale non è possibile ignorare o negare la propria posizione di privilegio, così come non è utile vergognarsi, ma occorre insistere agendo sulla realtà concreta a partire dalla relazione paritaria con le comunità locali. Questo – ha concluso – ha un valore dirompente”. 

Nel workshop di giovedì 28 (qui un’ampia sintesi dei lavori) sono stati approfonditi tutti i temi sul tappeto. Anzitutto la vergognosa e criminale pagina coloniale dell’Italia in Etiopia e la sostanziale rimozione che ne è seguita; poi la consapevolezza dell’evoluzione del fenomeno migratorio e della dinamica demografica, che di riflesso chiama l’Italia, l’Europa e l’Occidente ad agire per cambiare il prima possibile il modello di prevaricazione e dominazione che ha caratterizzato i decenni post-coloniali. Ancora, collegata a questo, la necessità di tenere la parola data destinando lo 0,7% della ricchezza nazionale ai programmi di sviluppo (la campagna 070 punta proprio a far entrare il tema nell’agenda politica). E poi, sul campo, il ruolo delle ong che possono essere una parte della soluzione al problema migratorio grazie alla loro presenza nei territori di partenza. E se la decolonizzazione si fa nella pratica, ecco l’importanza della partnership con le comunità locali, elemento essenziale della natura stessa delle ong. Come anche l’importanza del trasferimento delle abilità ai referenti locali (capacity building) e il supporto nella costruzione di una classe politica africana che ascolti davvero le proprie popolazioni e, superando il fallimento delle élites che con poche eccezioni hanno malamente governato negli ultimi decenni, agisca per dare una risposta alla forte frustrazione sociale di un continente – l’Africa – che rimane il solo al mondo in cui povertà e denutrizione continuano a crescere.

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“Chukuana”, un workshop sulla decolonizzazione degli interventi delle ong

La cooperazione allo sviluppo nei paesi dell’Africa e dell’America del Sud ha bisogno di vivere una sua “decolonizzazione”, che parta da un’analisi del modo in cui le attività sono condotte e conduca a garantire l’autonomia, l’autodeterminazione e l’indipendenza dei partner locali, che non a caso reclamano apertamente un loro forte protagonismo. Il tema interroga vivamente le organizzazioni non governative e le istituzioni che operano nel sud del mondo e richiede capacità di approfondimento, di comprensione della realtà e di confronto reciproco: per questo Comunità Solidali nel Mondo ha promossoChukuana – Decolonizzare davvero, l’evento organizzato a Roma da mercoledì 27 e venerdì 29 settembre all’interno del quale è previsto un workshop pensato appositamente per riflettere, dibattere ed elaborare proposte, da consegnare ai decisori politici, che traducano le esigenze dei nostri partner del Sud. 

L’appuntamento – promosso in collaborazione con AOI e Focsiv – è per giovedì 28 settembre a partire dalle ore 17:00 alla Casa del Municipio I Roma Centro (via Galilei 53). A confrontarsi, coordinati da Roberto Natale (Rai), saranno il presidente di Comunità Solidali nel Mondo, Michelangelo Chiurchiù; lo storico africanista Sandro Triulzi; la presidente di Focsiv Ivana Borsotto; il responsabile relazioni internazionali di Oxfam Italia, Francesco Petrelli; il prof. Senga Pemba dell’Università Sfuchas (Tanzania); l’economista Pasquale De Muro (Università Roma Tre); la presidente di AOI Silvia Stilli; il giornalista, docente e saggista Jean-Léonard Touadi. Partecipa anche tu, segnala qui la tua presenza.

La decolonizzazione dell’aiuto allo sviluppo rappresenta oggi lo sbocco di una riflessione urgente che interroga le organizzazioni del settore: chi opera sul campo – è la premessa dell’incontro – sa che il tema ha la sua complessità, non solo a livello teorico, ma per le implicazioni concrete e la traduzione operativa negli spazi delle attività e dei progetti. Come è possibile garantire la continuità dei progetti quando in loco mancano le competenze? Come è possibile costruire la sostenibilità futura dei progetti avviati dinanzi a Istituzioni pubbliche locali che per molti versi si rivelano inadeguate? Come si può giungere ad una autentica partnership paritaria, se sussistono ancora delle asimmetrie di potere? Questi interrogativi, e molti altri, rappresentano pane quotidiano per chi fa cooperazione allo sviluppo e richiedono una discussione franca e onesta.

Ad iniziare – sottolinea il presidente di ComSol, Michelangelo Chiurchiù – proprio dal fatto che “serve la consapevolezza comune che va riletta la storia coloniale italiana, che è stata un’avventura becera e assassina: una storia completamente rimossa, ma che ha portato nelle terre africane interessate una politica di terrore e di sterminio. Noi italiani siamo stati colonialisti, e colonialisti della peggior specie. Non è allora una cosa che riguarda esclusivamente gli altri: la decolonizzazione riguarda anche noi italiani”.

Nel tempo – continua – abbiamo assistito ad una crescente disuguaglianza nonostante il fatto che negli ultimi 50 anni siano stati inviati nell’Africa subsahariana oltre un trilione (mille miliardi) di dollari. Quando oggi parliamo di decolonizzazione dei rapporti e delle relazioni attuali, allora, significa che va aperta una nuova stagione. Oggi i nuovi criteri per la progettazione degli interventi delle organizzazioni non governative – sottolinea Chiurchiù – sono unanimi nel dirci che l’obiettivo principale da raggiungere è il cambiamento strutturale delle istituzioni in loco, non la realizzazione delle attività. Quello che facciamo come ong è certamente importante, serve per accompagnare quelle comunità, ma dobbiamo tenere conto che dobbiamo fare un’azione politica”.

La foto di apertura è di Marco Palombi

“Chukuana”, il via con la mostra fotografica di Marco Palombi

Un momento di arricchimento, da vivere con i tempi giusti, quelli necessari per farlo. Un’occasione importante per andare oltre il rapido e tumultuoso scorrimento di un’immagine dietro l’altra, modalità da smartphone o da pc alla quale siamo tutti sempre più abituati ma che non potrà mai far fiorire quelle sensazioni e quelle emozioni che l’incontro con una realtà diversa dalla nostra può suscitare. La mostra fotografica, che dal pomeriggio di mercoledì 27 settembre a Roma permetterà a tutti di poter gustare le immagini che il fotoreporter Marco Palombi ha catturato nel suo viaggio del maggio 2022 in Tanzania insieme a Comunità Solidali nel Mondo, è un’occasione bella per toccare quei luoghi, quelle situazioni e quei volti, con tutto il vissuto che quella terra così lontana sa trasmettere. Un momento aperto a tutti, con la compagnia dello stesso autore, per viaggiare, esplorare e conoscere un pezzo di Africa, anche senza salire su un aereo. E, infine, perfino la possibilità, a mostra conclusa, di portarsi a casa una delle 21 immagini esposte, che tramite una donazione contribuiranno così ad una raccolta fondi per le attività di ComSol.

“Chukuana” parte di slancio con 21 immagini

Mercoledì 27 settembre parte a Roma “Chukuana – Decolonizzare davvero”, l’evento promosso da Comunità Solidali nel Mondo per riflettere, lungo tre giorni, sul presente e sul futuro della cooperazione internazionale, e in particolare sul bisogno di autonomia, autodeterminazione e libertà dai condizionamenti che i partner locali dei progetti in Africa e America del Sud evocano sempre più frequentemente. L’evento, che proseguirà fino a venerdì 29 e che nel pomeriggio del 28 settembre prevede un workshop con esperti per riflettere, dibattere e elaborare proposte da consegnare ai decisori politici per tradurre operativamente le esigenze dei partner del Sud del mondo, avrà lungo tutto il suo svolgimento una sua propria colonna sonora, fatta però non di suoni ma appunto di immagini. Si tratta di una selezione degli scatti che Marco Palombi, fotoreporter romano, ha realizzato visitando la Tanzania insieme al giornalista Vincenzo Giardina (Agenzia Dire) e al team di Comunità Solidali nel Mondo. Palombi, che da oltre tre decenni viaggia per il mondo pubblicando i suoi reportage su varie e importanti testate (“La Repubblica” e “La Stampa” fra queste), ha scelto 21 immagini che raccontano le strade, i villaggi, i centri di riabilitazione, le atmosfere tanzaniane, le abitazioni nelle regioni di Mbeya, Dar es Salaam e Wanging’ombe, l’ambiente urbano e i villaggi rurali, per un racconto fatto di volti, storie e nomi, in grado di testimoniare le diverse sfumature di una realtà complessa e in continua evoluzione come quella tanzaniana.

Tutti all’inaugurazione: appuntamento mercoledì 27 settembre alle 17,30

Ad ospitare la mostra, così come l’intera tre giorni “Chukuana” (che in lingua swahili sta per “aiuto reciproco”), sarà la Casa del Municipio Roma I Centro (via G. Galilei 53). La mostra verrà inaugurata alle 17,30 di mercoledì 27 settembre dallo stesso Marco Palombi, che parlerà della propria esperienza sul campo insieme anzitutto al giornalista dell’Agenzia di Stampa “Dire”, Vincenzo Giardina (con il quale ha viaggiato) e poi con i giornalisti di “La Repubblica” Chiara Nardinocchi e Carlo Ciavoni. L’ingresso è libero e gratuito, ma è consigliato segnalare la propria presenza tramite questo form. La mostra sarà visitabile il primo giorno fino alle 21:30, e poi ancora giovedì 28 (ore 09:00-21:30) e venerdì 29 settembre (ore 09:00-16:00). Nelle mattinate del 28 e 29 Marco Palombi si confronterà e discuterà con ragazzi di classi di scuole superiori che parteciperanno agli incontri organizzati appositamente per loro. Le immagini del fotoreporter contribuiranno anche ad una raccolta fondi: tutto il ricavato dalla vendita delle foto in mostra, sarà devoluto a Comunità Solidali nel Mondo. Chi vorrà infatti, potrà a conclusione della tre giorni, portarsi a casa una delle 21 immagini scattate da Marco Palombi e montate su pannelli 50×70.

Palombi: “Recuperiamo insieme la magia della fotografia”

“Questa – ci racconta Palombi – è la prima esposizione su carta delle immagini raccolte in Tanzania: sono tutti scatti che fermano una storia, che raccontano un singolo momento, che presentano quelle atmosfere così particolari. Sono felice di questa occasione di riflessione comune, felice di potermi confrontare con chi verrà a vedere la mostra, felice che ci sia l’opportunità di fare una ‘cosa lenta’, cioè di poter vedere con calma, senza la fretta che ha invaso il web e i social network e che non permette di andare in profondità”.

La fotografia, dice Palombi, in questo periodo storico ha perso un po’ della sua magia a causa della velocità con cui oggi si fruiscono (e si cancellano) le immagini, un utilizzo istantaneo all’insegna dell’usa e getta che non permette davvero di cogliere tutta la complessità di un lavoro fotografico: “Ancora non è arrivato il momento, ma come società ritorneremo tutti un giorno ad una fruizione più lenta e meditata”, ragiona pensando al futuro. Nel frattempo, non resta che cogliere le opportunità e quella che parte mercoledì 27 settembre è una di queste: “Sono stato testimone di un lavoro incredibile che gli operatori e tutto lo staff di Comunità Solidali nel Mondo svolgono quotidianamente: ho conosciuto e ho visto all’opera giovani ragazzi italiani, quelli in Servizio Civile, che mi hanno emozionato e meravigliato per la loro capacità di vivere lì per mesi e mesi e fare con il cuore cose spettacolari, e ho incontrato famiglie e visto bambini tanzaniani dei villaggi più lontani essere accompagnati ai centri di riabilitazione per fare la fisioterapia necessaria”. Situazioni complesse raccontate in immagini che per la gran parte non mostrano neppure l’evidenza della disabilità (“fotograficamente parlando non sono voluto entrare in questo campo”), ma che ancor più per questo sanno lasciare il segno, rappresentando un vero ritratto d’autore di una terra e di una cultura.

Un lavoro, quello di Marco Palombi, fatto nel rispetto del contesto, della lingua locale, delle radici culturali e religiose, all’insegna della collaborazione e della solidarietà fra i popoli, cioè dei pilastri su cui si fonda la vera cooperazione allo sviluppo. La tre giorni di Chukuana – Decolonizzare davvero parte come meglio non avrebbe potuto. Ci vediamo tutti mercoledì 27 settembre alla Casa del Municipio Roma I Centro.

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